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La spunta blu

La maturità senza scritti? Come Harry Potter senza Hogwarts

L'esame per fattucchieri ordinari in una scena di "Harry Potter"
L'esame per fattucchieri ordinari in una scena di "Harry Potter"
L'esame per fattucchieri ordinari in una scena di "Harry Potter"
L'esame per fattucchieri ordinari in una scena di "Harry Potter"

«Il sacro fa paura. Ma anche la sua assenza, anche il mondo dissacrato, senza regole, senza divieti» (Guido Ceronetti)
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Il segnale arriva dopo cena. In tv Morata ha appena ciccato un gol fatto: fuori in strada ragazzini rigiocano Spagna-Svezia calciando un pallone spelacchiato alla luce dei lampioni mentre i loro padri guardano l’originale sul divano, dentro casa. Sul tavolo un avanzo di anguria. Una zanzara si agita sullo schermo, davanti alle maglie gialle degli svedesi. Il telefono vibra per un istante. «Hanno pubblicato le pagelle», dice il messaggio. A metà pomeriggio la chat della quinta elementare si era svegliata dal letargo in cui era precipitata dopo l’ultima campanella. Credevo fosse implosa in qualche precipizio digitale. Qualcuno si era chiesto, pigramente, quale fosse il giorno delle pagelle. Oggi. No, domani. No, no, oggi entro la mezzanotte. Il dibattito era andato avanti per un po’. Poi la chat si era nuovamente sopita, senza certezze, filosofeggiando quasi: «Se non è oggi, sarà domani, poco cambia». Ma infatti. D’istinto vado a cercare la app del registro elettronico, mentre provo a immaginare chi possa aver caricato le pagelle a quest’ora, a uffici chiusi, di notte. Poi mi fermo, mi guardo: sono in maglietta e pantaloncini, a piedi scalzi, nell’aria una scia di docciaschiuma e citronella. Mi sembra di mancare di rispetto a questo momento. Forse dovrei mettermi pantaloni e camicia, darmi una pettinata, suonare l’inno o qualcosa del genere. «Dai, papi, apri», mi dice mia figlia. Clicco, scarico, ingrandisco, leggiamo, ci abbracciamo, ridiamo. Tre minuti mal contati. Le elementari sono finite così, una sera di giugno, a piedi nudi, in cucina. Anche questo è un effetto Covid. La smitizzazione dei riti di passaggio. È come se la pandemia avesse sfilato la sacralità a certi momenti, come la laurea o la maturità. Discutere la tesi in videoconferenza non è come discutere la tesi davanti a una commissione in ermellino, nell’aula magna con il soffitto a cassettoni, gli arazzi alle pareti e le alabarde intrecciate sulla porta di ingresso. Diplomarsi senza gli scritti, con il solo oralone a reggere la scena dell’esame di stato, non è come diplomarsi con il tema, la versione di greco, il teorema di matematica, la traduzione di tedesco. Vincere la coppa dei campioni in uno stadio vuoto non è la stessa cosa di vincerla davanti a 80 mila spettatori.  Vogliamo parlare dei matrimoni con dieci selezionati invitati? Che fascino avrebbe avuto Harry Potter se avesse sostenuto, via Meet o Skype, con un semplice orale a distanza il Giudizio unico per fattucchieri ordinari, uno degli esami della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts? Possiamo raccontarcela, come prova a raccontarcela il ministro Patrizio Bianchi, ma il virus ha depotenziato la carica emozionale di certi momenti della nostra vita: li ha resi ordinari, come se fossero frammenti di quotidianità e non parentesi straordinarie, che accadono una volta e non tornano mai più. Anche la consegna di una pagella smarrisce magia, palpitazioni, paure, gioie. Nei riti di passaggio, così come sono descritti dall’antropologo Arnold Van Gennep, ogni volta moriamo e rinasciamo: muore la parte di noi ragazzi che fino a ieri studiava al liceo e nasce l’adulto che si prepara all’università, al lavoro, alla famiglia, all’avventura. A certi riti di passaggio non avrei rinunciato senza provare almeno a combattere. Invece per il secondo anno consecutivo è stata gettata la spugna prima ancora di salire sul ring: non abbiamo avuto la sensazione che sia stato fatto tutto quello che si sarebbe potuto fare per salvare la maturità quella piena, rotonda. Così accade che dentro le scuole sia vietato scrivere un tema o tradurre Cicerone, accade che anche per il colloquio finale studenti e insegnanti siano a distanze siderale gli uni dagli altri in ambienti enormi igienizzati e sanificati senza spettatori, nemmeno mamma o papà, mentre fuori da quelle scuole, un minuto dopo, ci si abbracci e ci si baci, prima di andare allo stadio, a teatro, al bar o al mare. A voi non sembra una piramide di valori rovesciata, questa?
Alla fine siamo usciti, anche se erano già le dieci, e siamo andati a prendere un gelato, il minimo sindacale per festeggiare la pagella. La partita, quella in tv, è finita zero a zero tra i fischi. La partita, quella dei ragazzini per strada, stava sul cinque a tre quando siamo tornati leccando coni che gocciolavano per il caldo. Non so quanto della sacralità dei vecchi riti tornerà dopo la pandemia. Forse torneranno gli scritti della maturità, ma forse le pagelle d’ora in poi verranno consegnate sempre così: con un clic dentro una app sullo schermo di uno smartphone. Una parte di noi continuerà a morire e a rinascere a ogni rito di passaggio: un po’ meno, però, come un po’ minore è l’intensità delle emozioni provate cliccando su un telefono alle dieci di sera, in cucina, spettinati, a piedi nudi, senza inni o fanfare, sul tavolo un avanzo di anguria, mentre una zanzara ronza intorno alla luce di un televisore acceso sugli europei di calcio.

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Ps: E se pensate che sia nostalgia per una certa forma, qualche giorno fa un articolo de Il Sole-24 Ore ci dice che la forma è sostanza, quando si parla di scuola. Cito: «La stima Ocse più recente del tasso medio di rendimento dell'istruzione in Italia è dell'8,1% di reddito futuro per ogni anno aggiuntivo di scolarizzazione. Considerando una chiusura delle scuole di 37 settimane, la perdita di guadagni futuri sarà pari al 7,5% l'anno (ovvero il 92,5% del rendimento annuo di 8,1%) durante l'intero arco della vita lavorativa di un individuo che oggi è studente. Si può quindi stimare un minor rendimento annuo del capitale umano pari a 1.883 euro (ovvero il 7,5% del salario medio annuo di un lavoratore dipendente, che è pari a 25.110 euro). Che sale a circa 57 mila euro in 45 anni di vita lavorativa. A livello individuale si tratta di un costo alto. Riferita a 6,6 milioni di studenti italiani, la cifra diventa approssimativamente di 375 miliardi di euro, ovvero un po' più del 20% del Pil 2019». Non l’avevo ancora letta una stima dell’eredità della didattica a distanza. Sarà pure spannometrica, ma qualcosa ci dice. Ad esempio sul divario tra chi ha subito la dad in anni cruciali della sua formazione scolastica e chi l’ha schivata. Oppure ci dice della concorrenza sleale tra giovani di paesi che hanno fatto massiccio ricorso alla dad (l’Italia primeggia in Europa) e paesi che l’hanno dosata meglio: in un mercato del lavoro senza frontiere, il capitale umano potrebbe fare la differenza.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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