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La spunta blu

La maturità era un'altra cosa, però

Una scena del film "Rachel sta per sposarsi"
Una scena del film "Rachel sta per sposarsi"
Una scena del film "Rachel sta per sposarsi"
Una scena del film "Rachel sta per sposarsi"

“Ti fermi a un bar. Ti bevi un caffè. Forse potresti andare a sentire le domande, casomai segnartele. Ma è tutto inutile, sono solo i sensi di colpa che ti mordono la coscienza come un branco di bastardi affamati. Devi andare, non puoi essere così vigliacco”. (Niccolò Ammaniti, "Il momento è delicato")

Non avrei creduto, uscendo dall’aula magna del liceo Pigafetta, in quell’afoso luglio, che un quarto di secolo dopo avrei continuato a raccontare la mia maturità. Prima che il virus lo sgonfiasse riducendolo a poco più di una pura formalità, era l’esame degli esami, molto più di un rito di passaggio fra l’adolescenza e l’età adulta. Non c’era nulla di paragonabile a quella tappa nella formazione, nell’istruzione, nella vita, perché nient’altro sa tenere insieme il sentimento dell’avventura collettiva con il viaggio intimo, nulla connette la storia del singolo protagonista con la storia di tutti gli altri. L’esperienza della maturità, con le notti insonni, il toto-titoli, i riti scaramantici, le crisi e gli exploit, era un concentrato di emozioni, paure, tensione, sogni, incubi, progetti che lasciava il segno tatuandosi sulla pelle dei ricordi e della personalità dei diciottenni di ogni epoca. Quel passaggio stretto come la cruna di un ago attraverso cui far passare esistenze che nel pieno dell’età imperfetta si fanno sempre più larghe e profonde, era un muro da abbattere per poter essere iniziati all’età adulta. Che oggi la maturità, per il secondo anno consecutivo, abbia alzato bandiera bianca arrendendosi al virus senza nemmeno tentare di combattere per restare se stessa, è una sconfitta per la scuola e una perdita per i maturandi, che un momento così non avranno più occasione di viverlo. So bene di attirarmi le maledizioni di chi sollevato dalla cancellazione delle prove scritte si avvia all’orale senza portarsi in spalle lo zaino pieno di palpitazioni che si sono portati i suoi predecessori. Mi sarei sentito sollevato anch’io, 25 anni fa, se mi avessero detto che non ci sarebbero stati né tema di italiano né versione di latino. E però, a distanza di molti anni, ammetto che mi sarebbe mancato un pezzo di vita come non ce ne sono altri nemmeno vagamente simili. E la scelta di abdicare rinunciando agli scritti è ancora più sorprendente di un anno fa, quando in pieno lockdown non si vedeva la luce in fondo al tunnel e quando gli insegnanti non avevano ancora ricevuto il vaccino. Da lunedì l’Italia torna timidamente ad alzare le saracinesche e a mettere la testa fuori di casa. Da lunedì iniziano a salire le percentuali di alunni in presenza anche nelle scuole superiori: le quinte saranno tutte in aula, al 100 per cento, dove possibile. Riapriranno teatri, cinema e musei, come le chiese, che sono sempre state aperte. Si allungherà il raggio dei nostri spostamenti, che potremmo riprendere a chiamare, magari sottovoce, viaggi. Pranzeremo al ristorante, sempre che abbia tavoli all’aperto. A giugno saranno ripartite piscine e palestre, persino le partite del mercoledì sera a calcio a 5. Che ci si creda o meno, potranno partecipare al valzer delle riaperture anche i maturandi, che quindi potranno schiacciare i pensieri nelle piazze della movida partecipando al rito dello spritz, potranno andare allo stadio, potranno fare shopping, potranno seguire in carne e ossa le ultime lezioni del loro ultimo tormentato anno scolastico sospeso tra reale e virtuale, ma non potranno sostenere l’esame di maturità in versione integrale: con gli scritti, oltre all’orale. In giro non si son viste proteste, barricate, cortei. Nessun sindaco che si sia ribellato mettendo a disposizione il palasport per ospitare almeno il tema di italiano. Nessun governatore che abbia detto no, non ci sto, allestendo una tensostruttura. Avremmo potuto schierare palestre, padiglioni della fiera, piazze e parchi per salvare lo spirito della maturità, che non è solo un rito di passaggio, ma una tappa di vita da raccontare anche a distanza di anni. Sarebbe stato un modo per iniziare a  risarcire, almeno simbolicamente, i ragazzi della “Dad”, a cui abbiamo tolto la scuola, lo sport, gli amici, il divertimento, i viaggi, i balli, parcheggiandoli nelle loro camere da letto davanti a uno schermo che ha liofilizzato ogni pezzo di esistenza. La maturità impoverita, dimezzata, svilita, svuotata, non fa che replicare l’errore di sfilare dalle mani dei nostri ragazzi un diritto fondamentale, che non sta scritto in Costituzione, ma è nella vita di tutti i giorni: il diritto all’esperienza.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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