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La spunta blu

La legge del primo che passa

Fernando Botero, "Il notaio"
Fernando Botero, "Il notaio"
Fernando Botero, "Il notaio"
Fernando Botero, "Il notaio"

“Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l’inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati ne’ cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pe’ tetti, come i gatti” (Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
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Ci stavamo persuadendo che alla fine di questa storia forse anche noi italiani avremo imparato a metterci in fila. Ci sono file ovunque per fare qualsiasi cosa: da un anno siamo pazientemente in fila. Aspettare il proprio turno, come da iconografia presidenziale: Mattarella seduto sullo sgabello della prechiamata come gli altri pensionati della leva - pardon - coorte del 1941. Poi una sera si presenta in tv un generale dell’esercito, con la divisa lastricata di nastrini e medaglie, e più o meno dice che da oggi è in vigore la “legge del primo che passa”: «Basta buttare dosi, chi passa verrà vaccinato». Quel generale è il nuovo commissario per l’emergenza covid. Sta dicendo che a un problema (l’elevata quota di persone che rinunciano al vaccino) risponderemo con un altro problema (improvvisazione e anarchia). Tu quoque, Figliuolo mio. Per lasciarci fare un po’ quello che ci pare bastava e avanzava il suo predecessore, Arcuri, quello dei banchi con le rotelle. Peccherò di fantasia, sarò certamente vittima dei più triti luoghi comuni, ma da un militare mi aspetterei ordine e disciplina, non la legge del primo che passa. Forse non dovrei sorprendermi: siamo il Paese delle lotterie degli scontrini, delle ruote della fortuna, dell’io speriamo che me la cavo. Ma che razza di criterio è? Altro che #iorestoacasa, come recitava la litania social durante il lockdown un anno fa. Il messaggio che plana su noi poveri cristi condannati agli arresti domiciliari delle zone rosse è che conviene uscire di casa e farsi un giro davanti a un centro vaccinale, pronti ad allungare un braccio, metti caso che avanzi una fiala, anche a costo di assembrarci uno addosso all’altro. Siamo dalle parti del salumiere a cui hai chiesto un etto di prosciutto, ma che mostrandoti le fette di culatello ti sussurra suadente: “È un etto e mezzo, che faccio, lascio?”. Abbiamo fame e sete di informazioni, tanta fama e tanta sete. Governo, regioni, sindaci, commissari, aziende sanitarie hanno l’obbligo della chiarezza. Diteci quali sono i criteri di vaccinazione, quali sono le categorie scelte in via prioritaria e quali sono i convocati nelle liste di riserva. Diteci come ci convocherete, ancora non l’abbiamo capito. Pubblicate ogni giorno una bacheca: oggi tocca a questi, quelli sono le riserve, domani se arrivano vaccini sono convocati Tizi e Semproni. Avanti il prossimo, non il primo che passa. Si chiamano chiarezza e trasparenza: non è così difficile, nemmeno in Italia. Fatelo, in cambio vi promettiamo di metterci in fila e di aspettare il nostro turno. Evitiamo le mezze voci, gli spifferi e i sussurri, i miti e le leggende, i “conosco uno che” e i “si dice” che hanno già fatto danni gravissimi con lo stop alle fiale Astrazeneca. Evitiamo di tirare a sorte, di giocare alla lotteria del vaccino. Evitiamo l’assalto al forno delle Grucce descritto da Manzoni: là la moltitudine avanza gridando “pane, pane, aprite, aprite”, qui l’urlo sta per diventare “vaccino, vaccino”.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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