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La spunta blu

La generazione "Ni vax"

Edward Hopper, "People in the sun"
Edward Hopper, "People in the sun"
Edward Hopper, "People in the sun"
Edward Hopper, "People in the sun"

“È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.” (Jean-Paul Sartre)
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Ha la forma di un pettine quest'estate mossa tra due fuochi, il falò della leggerezza cercata come il sacro graal in mezzo a tanta cupezza e la pira di una crisi che non finisce mai su cui bruciano traiettorie e orbite di sogni e progetti interrotti dal virus. Un pettine su cui si stanno impigliando certi nodi grossi così che abbiamo lasciato aggrovigliarsi sul fondo di un anno e mezzo di tunnel e di attese. Non so voi, ma io mi sento osservato mentre, sdraiati in riva al mare, pettiniamo pigramente le nostre vite a metà, sospese che tra quello che erano prima e quello che saranno dopo il virus. Mi sento osservato come osserviamo ipnotizzati l'andare e venire della ruota di un mulino, in quell'incessante prendere e lasciare acqua per muovere la macina. Da qualche settimana, mentre si dirada il fumo intorno all'affanno iniziale della campagna vaccinale, i numeri italiani mostrano con precisione sempre più nitida dove si sta incagliando la corsa all’immunizzazione: nelle fasce d’età tra i quaranta e i cinquant’anni. In quel segmento le cose vanno sempre più lentamente. I giornali di Ferragosto titolavano che il generale Figliuolo dà la caccia ai cinquantenni renitenti alla leva del vaccino. Ed è un doppio guaio, perché questa fetta di italiani è la cinghia di trasmissione tra gli anziani, i più fragili ed esposti al virus, e i giovani, i più penalizzati dalle misure per contrastarlo. Tradotto: tra i nipoti e i nonni, tra i nostri figli e i nostri genitori, ci siamo in mezzo noi, nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. Dall’inizio della pandemia il boccino era nelle mani di questo pezzo di società: ogni scelta, dalla protezione dei grandi vecchi alla didattica a distanza dei ragazzi, ha avuto doppie e triple ricadute sui quarantenni e cinquantenni, a cui è stato chiesto di prendersi cura di se stessi, di chi è venuto prima e di chi è venuto dopo. Piovono soprattutto da questa generazione i comizi dai pulpiti dei social media contro le chiusure prima, il vaccino poi, il green pass ora, in una terapia del capriccio a un malcontento che arriva da lontano e nessuno sa come curare. Vengono da politici e sindacalisti di questa età le acrobazie dialettiche di chi dice che il vaccino sì, ma il green pass no. L’ultima, mesta esibizione, malinconica come la caduta di un trapezista dalla fune, è andata in scena in tv quando Virginia Raggi, sindaca di Roma, non ha saputo dire cosa pensa su temi di cui discutiamo da un anno. Sei contraria? Dillo. Sei favorevole? Dillo. Portavoce dei “Ni vax” o “Ni pass”, come certi leader di destra, come se sulla scheda elettorale potessimo votare né lei né gli altri o forse un po’ tutti. Cos’è questa contorsione politica che fa dire ogni cosa pur di non prendere posizione o di prenderne due di posizioni, una contraria all’altra, in una coincidentia oppositorum per non scontentare nessuno, perché sono tutti voti, belli o brutti? Ancora una volta, dietro questo abbaiare senza saper mordere, si manifesta l’assenza di una cultura della responsabilità, come se questa generazione di mezzo tra giovani e vecchi stesse cercando di schivare l’assunzione di impegni da caricarsi sulle spalle. Il covid è la nostra guerra, non fanno che ripeterci. Eppure latita il senso del sacrificio e la disponibilità a resistere, a saper soffrire in cambio della promessa di un mondo migliore. Non ci veniva chiesto di sparare, di immergerci nel fango di una trincea tra sangue e topi, di assaltare le linee nemiche a mani nude e coltello tra i denti. Eppure. Nati in un’Italia che non avremmo ricostruito così dopo il conflitto mondiale, non siamo però riusciti a rifarla a nostra immagine e somiglianza. Aspettiamo che sia il momento dei quarantenni più o meno da quarant’anni e nel frattempo trasciniamo l’adolescenza nelle pettinature, nelle scarpe, nei tatuaggi, nei tic e negli spritz. Un’eterna adolescenza deresponsabilizzata. C’era una guerra da combattere e vincere, ma l’abbiamo lasciata combattere ad altri, lamentandoci di tutto e tutti, senza riuscire nemmeno a scegliere da che parte stare, aspettando che la puntura se la facessero quelli che rischiano davvero, tanto prima o poi arriverà l’immunità di gregge a toglierci d’impaccio. Questa guerra osservata dai balconi e commentata sui telefonini è un’occasione persa per una generazione che potrebbe lasciare il segno nella ricostruzione, ma perde il suo tempo a litigare di bugiardini, di multinazionali o di libertà che non sono libertà, incapace come il sindaco della capitale d’Italia di dire se è favorevoli o contraria a una puntura.

Ps: diciamo pure che il mare a ferragosto è ormai un diritto acquisito nelle pingui società occidentali. E però non te l'ha ordinato nessun medico di fare il ministro degli esteri. Se accetti un ruolo che agli onori abbina oneri di un certo peso, mentre la tua ambasciata sta evacuando per non mettere in pericolo le vite di chi sta rappresentando il tuo paese in prima linea, non te ne stai a mollo al mare, a proposito di giovani classi dirigenti indifferenti a ogni assunzione di responsabilità

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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