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La spunta blu

L'ultimo tabù: la prima donna

Una scena dal film "Interstellar"
Una scena dal film "Interstellar"
Una scena dal film "Interstellar"
Una scena dal film "Interstellar"

"Mi occorrono dei numeri che ancora non esistono" (dal film "Il diritto di contare")

Segnatevi questi numeri: dodici e trenta. Dodici sono i presidenti della repubblica e trenta sono i presidenti del consiglio dei ministri che l’Italia si è data in 75 anni di storia democratica. Tutti uomini. L’età media per il capo dello stato è di 73 anni, per il premier di 56. Che questo non fosse un paese per giovani è persino scritto in Costituzione: alla più alta carica dello Stato possono aspirare solo gli ultracinquantenni. Ma che questo non fosse nemmeno un paese per donne, beh, nella carta costituzionale non c’è proprio scritto dritto per dritto, però un po’ lo si capisce: è come se i padri costituenti (“padri”, non a caso, nonostante ci fossero anche 21 “madri” a discutere, proporre, scrivere e votare) avessero considerato ovvio e scontato che certi ruoli sarebbero stati riservati a uomini: presidente è sempre una parola declinata al maschile, nemmeno per sbaglio ci scappa - che so? - un articolo al femminile (la presidente se non proprio la presidentessa). Eppure.
In modi obliqui e bizantini, questa volta il totonomi è iniziato con un anticipo vertiginoso. Si parla del successore di Sergio Mattarella da quasi un anno, ignorando o fingendo di ignorare le regole non scritte del rito più antico, misterioso e oscuro della politica italiana. Lo scrutinio segreto è un'arma machiavellica nelle mani dei grandi elettori che possono sfuggire agli ordini di scuderia. Quasi sempre il prescelto non è stato l'uomo che alla vigilia poteva contare su più voti, ma su meno veti. E se questa volta fosse diverso? Se questa volta l'Italia là fuori avesse un peso e una voce nel condizionare l'Italia lì dentro l'aula di Montecitorio dove si giocherà la partita? Riformulo: sarebbe digerito e giustificato ancora e ancora, come se nulla fosse, se venisse scelto un altro maschio ultrasettantenne, il tredicesimo della serie? Statisticamente è un'aberrazione, culturalmente il sintomo di una patologia sociale senza cura. Una donna al comando non è garanzia di successo, ovvio. La parabola di Virginia Raggi al volante del Campidoglio è lì a dimostrarlo e a ricordarcelo. Contano le idee e contano le persone. Ma se le idee e le persone sono i maschi di mezza o terza età che sfilano sulle pagine dei giornali da settimane, forse è il momento di fare un tentativo di cambiare le cose. Questa è la legislatura più pazza di sempre, con l'età media più bassa e il record di donne tra Camera e Senato, e questo è il momento storico più pazzo, strano, diverso, fluido: se non ora, quando? La prima donna al Quirinale è l'ultimo tabù italiano, qualcosa che per la struttura della società italiana avrebbe l'effetto del primo uomo sulla luna. E se proprio sarà inevitabile la promozione di Mario Draghi al Colle, allora potrebbe essere l'occasione per abbattere il penultimo tabù italiano: dopo trenta uomini, la prima donna a palazzo Chigi. Ce la possiamo fare: dopo tanti, tantissimi kingmaker, questa volta i grandi elettori potrebbero passare alla storia per essere i primi queenmaker.
 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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