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La spunta blu

L'ultimo giorno di una scuola mai vista prima

Una scena dal film "Castaway"
Una scena dal film "Castaway"
Una scena dal film "Castaway"
Una scena dal film "Castaway"

“Il futuro e il passato si confondevano; ciò di cui aveva già avuto esperienza e ciò di cui avrebbe avuto esperienza si sovrapponevano, così che nulla restava tranne l’attimo, lo stare immobile.” (Philip K. Dick, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”)

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L'ultimo giorno di scuola è arrivato all'improvviso. Non ne eravamo preparati, io almeno non lo ero. Le cose a un certo punto hanno iniziato ad andare più veloci, come attratte da una misteriosa gravità. È la legge della ripartenza: dopo la grande lentezza dell'inverno in zona rossa, le riaperture hanno accelerato le nostre esistenze impigrite e divanizzate. Così, non ho fatto in tempo a lamentarmi dell'acido lattico a muscoli non più abituati a questa velocità di vita che l'anno scolastico è precipitato verso giugno, trasportato dal profumo dei gelsomini, dai mucchi di fieno nei campi e dai cesti di ciliegie sui banchi del mercato. Lunedì mia figlia è andata in gita: quando me l'ha detto mi sono scritto quella parola antica e impolverata sul dizionario delle parole smarrite. È stata la prima gita in due anni. Ed è stata anche l'ultima delle elementari. Sono andati al museo diocesano, non proprio Mirabilandia, però era felice, di una felicità elettrica come solo i momenti diversi come i viaggi sanno essere. L'ho guardata mentre infilava i piedi nelle Adidas bianche e ho provato a ricordare quand'era stata l'ultima volta che era andata in gita, ma sono immagini sbiadite, che filtrano tra le smagliature del tempo dilatato che abbiamo attraversato in questi quindici mesi: era più piccola, di almeno dieci centimetri, ma non solo di statura, era proprio più piccola. È salita a bordo dell'Arca di questo nuovo diluvio universale che era una bimba, ne sta scendendo da ragazza: piccole donne crescono. Dice che vuole mettersi al sole per abbronzarsi quando inizieranno le vacanze. Abbiamo tutti la pelle pallida, come in certi film catastrofisti, dove un po' di esseri umani selezionati restano chiusi dentro un bunker in attesa che la polvere mossa dal meteorite caduto sulla Terra si depositi e l'aria torni respirabile. La scuola è finita, va bene: e dunque? Cosa ce ne facciamo di questi quindi mesi? Questo che finisce è stato l'anno più duro. Studenti, insegnanti, famiglie si sono trascinati sulla linea del traguardo con il fiato grosso e la lingua fuori: è stato un tempo infinito, di una fatica feroce nell’altalena di aperture e chiusure, di zone rosse e gialle, di regole, divieti, paure, domande senza risposta. È stata una scuola mai vista prima, che ha messo a dura prova tutti, dentro e fuori le aule. Alla festa per i genitori (oddio, non ricordo più se la parola festa è poi rimasta nei decaloghi diramati per regolamentare questi momenti senza buffet né bevande, con massimo due persone per alunno, con i posti riservati, i percorsi obbligati, le distanze e tutto il resto) avevamo l'aria spiegazzata di Tom Hanks in Castaway, quando vaga stranito nella stanza del buffet in suo onore allestito in aeroporto dopo il ritorno alla civiltà: siamo sopravvissuti al naufragio della scuola, ma sembra tutto come prima, solo un po' più vecchio, noi compresi. Abbiamo continuato a dire grazie, increduli di trovarci lì tutti insieme, in presenza, in creduli che ci fosse il sole, perché ormai siamo pronti a tutto, anche alla pioggia quando ti dicono che si può tornare a vivere, ma solo all'aperto. Dopo questo viaggio al termine della notte del Covid, il rischio ora è di lasciarsi alle spalle questo terribile anno scolastico con il sollievo di chi si sveglia da un brutto sogno. Del virus abbiamo imparato che si accanisce sulle fragilità del corpo umano come del corpo sociale, nei malati che attacca come nelle società che investe. E la scuola si è rivelata un organismo fragilissimo. Infilare la polvere sotto il tappeto senza pensare troppo almeno all’anno che verrà, non farà che rimetterla nella scomoda posizione di sempre, quella dell’eterno Calimero nell'Italia delle negligenze e delle emergenze. Manca una mappa per orientarsi: cosa succederà finita l'estate? Che scuola sarà? Cambierà qualcosa? Cosa resterà della didattica a distanza? Dipenderà tutto solo dai vaccini? Se l’uscita dal tunnel sarà un banale reset, come quando si preme sul computer il tasto “spegni e riavvia”, senza che la scuola venga ricompensata o risarcita per la sofferenza che ha attraversato, vorrà dire che di questa lezione non è stato imparato nulla. “Prima che il vento si porta via tutto e che settembre ci porti una strana felicità, respira questa libertà”.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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