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La spunta blu

L'ultima ruota del carro

"Concetto spaziale, attesa", Lucio Fontana
"Concetto spaziale, attesa", Lucio Fontana
"Concetto spaziale, attesa", Lucio Fontana
"Concetto spaziale, attesa", Lucio Fontana

“Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi”. (Ernest Hemingway, “Per chi suona la campana”)

Fatalmente è arrivata. Qualche tempo fa, credo fosse novembre. “Papà, noi saremo ricordati solo per il covid?”. “Noi chi?”, ho provato a prendere tempo. “Noi che andiamo a scuola oggi”. Stavamo ascoltando alla radio una vecchia canzone degli anni Novanta, gli anni del mio liceo e della mia università. Le stavo portando a scuola, fanno la quinta elementare e la seconda media, in questo anno scolastico hanno potuto seguire in presenza ogni singola lezione: è stata una fortuna perché non c'è confronto con la scuola distanza dei mesi del lockdown. Quella domanda è piovuta improvvisa, come un tuono. Lo stavano chiedendo a un reduce della generazione X, uno di quelli nati tra il 1965 e il 1980, quelli che non hanno ricostruito il mondo dopo la seconda guerra mondiale, quelli che hanno visto crollare il muro di Berlino mentre ancora studiavano, quelli senza un'identità sociale precisa: per questo quella “X”, come di chi non sa metterci la firma. Fino a un anno fa i ragazzi di oggi li chiamavamo tutti millennials, sintetizzando alla buona l'attitudine per le nuove tecnologie, per i social media, per il pollice opponibile indispensabile se si vuole scrivere alla velocità della luce sullo schermo touch di uno smartphone. E un po' eravamo attratti da quella naturale confidenza con il digitale, noi che veniamo dal mondo analogico e ci sorprendiamo ad allevare nostalgie per le cabine dei telefoni a gettoni e i vinili. Un po' ne eravamo spaventati e davamo regole e tempi per stare davanti agli schermi, ma soprattutto tarmavamo i millennials con i racconti del nostro personale eden: noi che giocavamo per strada, noi che andavamo in bicicletta, noi che studiavamo sui libri, quelli di carta, come se ci fosse una qualche forma di superiorità in quello che era toccato in sorte a noi. Dopo il virus, siamo stati noi a rinchiuderli nella loro bolla digitale: via computer o via telefono studiano e si fanno interrogare, vedono gli amici, partecipano ad eventi virtuali, fanno sport addirittura. Se per caso mettono la testa fuori da quella bolla, li ricacciamo dentro. Li rimproveravamo perché stavano sempre chiusi nella loro stanza, ora ce li abbiamo rinchiusi noi. Abbiamo smaterializzato la loro esistenza, abbiamo disgregato scuola e tempo libero. La nuova lettera scarlatta che si sentono addosso è la “C”, come covid. La generazione C sta pagando e pagherà a lungo il prezzo più alto della pandemia: per la vita sospesa a cui li stiamo costringendo e per il conto materiale del gigantesco indebitamento a cui stiamo ricorrendo per tenere a galla l'economia. Ma c'è pure qualcosa di più. C'è la sindrome “ultima ruota del carro” inscritta in decine di decreti e ordinanze: la scuola può essere sacrificata n qualsiasi momento per salvare altri segmenti della società. Quando non si sa più a che santo votarsi per placare la curva dei contagi, la didattica a distanza è sempre la prima soluzione. Negli ultimi dodici mesi, gli studenti delle scuole superiori e degli atenei hanno frequentato in presenza per meno di tre mesi: non era mai accaduto prima, l'Italia è maglia nera tra le grandi potenze. Nemmeno le discoteche sono state chiuse così a lungo. Il tempo sospeso della scuola italiana è uno strappo sulla tela di un'intera generazione. Una società che dovrebbe orbitare intorno al suo futuro, ha deciso che proprio il futuro può essere parcheggiato. Nel triste scontro generazionale innescato dal virus, è ormai un luogo comune pensare agli under 20 non come portatori di futuro, ma come vettori di contagio. Non dev'essere semplice governare anche solo un piccolo pezzo di mondo in questa maionese impazzita che è la pandemia. E però mi resta addosso il sospetto che non sia stato fatto tutto quello che poteva essere fatto per garantire l'apertura almeno parziale di scuole superiori e università. Poi magari capiterà che mentre le scuole sono ancora chiuse, riapriranno le piste da sci. Ecco, allora non sarà semplice nemmeno rispondere alle domande dei ragazzi chiusi nelle loro stanze mentre noi saliamo in seggiovia, non sarà semplice dire loro perché in questi undici terribili mesi sono sempre stati considerati l'ultima ruota del carro.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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