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La spunta blu

Il virus non veste Prada

Una scena del film "Il Diavolo veste Prada"
Una scena del film "Il Diavolo veste Prada"
Una scena del film "Il Diavolo veste Prada"
Una scena del film "Il Diavolo veste Prada"

«Chanel, hai un disperato bisogno di Chanel» (Stanley Tucci nel film “Il Diavolo veste Prada”)
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Più camici che camicie, più maschere che trucco, più gomma che lacca, le corsie al posto delle passerelle, boccette sì, ma non di profumo, semmai di siero. Il virus non veste Prada. L’estetica ai tempi del covid ha la vivacità di un ambulatorio della guardia medica. E proprio gli ambulatori sono il set dell’ultima tendenza: passato di moda il “selfie after sex” causa coprifuoco e divieti di effusioni tra non congiunti, è il momento del “selfie after vax”, l’autoscatto dopo il vaccino. Sono le foto iconiche del nuovo anno, tutte uguali da un capo all’altro del globo, che i soggetti siano medici o capi di stato, sportellisti del centro prenotazioni o governatori della Campania, poco cambia. Spesso si è detto che questa è una guerra: e chi sono, allora, i nuovi guerrieri? Gli eroi dell’antichità hanno nella postura la fierezza dell’impresa da compiere: la mano destra impugna la lancia o la spada, la mano sinistra stringe lo scudo, schiena dritta, gambe divaricate, pettorali possibilmente scolpiti, mento volitivo, elmo e armatura. La postura dei paladini del vaccino è un segno dei tempi: i templari si facevano ritrarre in sella a cavalli bardati, i cavalieri della crociata contro il virus con la corona si fanno immortalare seduti su poltrone color dentifricio con schienale reclinabile e comodo bracciolo per puntare il gomito. Più che di movimento, questa è una guerra di posizione. Le case sono le nostre trincee, più ci restiamo accucciati dentro, meno rischi corriamo e facciamo correre. La staticità e la sedentarietà sono da mesi le virtù cardinali. E non a caso, il guerriero del 2021 combatte da seduto, fermo, immobile, mentre si fa iniettare l’arma per sconfiggere il nemico. Sullo sfondo degli eroi antichi c’erano i castelli, i campi di battaglia e i villaggi messi a ferro e fuoco; gli alfieri di oggi posano davanti a pareti lavabili tinta pastello, tra disinfettanti, garze, cotone e cerotti. Lo sguardo vaga tra il vuoto e l’obiettivo della fotocamera, la mano destra trascina verso la spalla la manica sinistra, il braccio è nudo, i muscoli a riposo. Come sempre, sono gli accessori a fare la differenza: se la mascherina è imprescindibile, la siringa è indispensabile, perché è la prova della sanità, così come le stimmate erano la prova della santità. Le foto dei vaccinati vanno oltre il narcisismo dei vecchi selfie, perché all’estetica abbinano l’etica, cercano di essere anche testimonianze di impegno civile, di altruismo e solidarietà, di senso della comunità, di fede nella scienza. Ricordano le foto dei donatori di sangue: nascono per dare l’esempio, raccontano storie da imitare, come mille anni fa modelli da imitare erano le vite dei santi. Tutte insieme queste foto non fanno che ripetere che nessuno si salva da solo, che se proprio non siamo sulla stessa barca, siamo comunque dentro la stessa tempesta. Non è un’eccezione dell’era digitale, anche in passato le campagne d vaccinazione, a partire dall’anti-polio, sono state accompagnate dagli scatti spesso di grandi firme della fotografia. La novità è l’invasione di scatti amatoriali, subito postati, commentati e condivisi. “Vaccino ergo sum” è la dimensione salutista dell’homo covidicus. E però non è solo la solita fiera della vanità promossa al rango di fiera della sanità. C’è anche qualcos’altro, qualcosa di più profondo, di umano troppo umano: dietro quelle foto c’è il desiderio di tornare al “prima” o di andare oltre per arrivare in fretta al “dopo”, di superare tutto questo, è voglia di normalità, di gite, di aperitivi, di feste, di abbracci, di baci, di contatto. Nel momento esatto in cui esaltiamo l’estetica del vaccino postando e condividendo il rito del “selfie after vax” dentro ambulatori disadorni, con la mascherina e l’ago, ci stiamo ribellando proprio a quell’iconografia ambulatoriale, la nostra è una insurrezione contro l'invasore alla disperata ricerca di nuovi canoni di stile, eleganza, bellezza, per riprenderci tutto quello che il virus ci ha tolto. 
gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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