“Privacy non significa nascondere agli altri la mia vita privata. Significa evitare che la vita privata degli altri irrompa nella mia”. (Jonathan Franzen, “Più lontano ancora”)
Una modesta proposta: sospendiamo la privacy. Non tutta, solo un pezzetto: facciamo che il covid non è un dato sensibile, zero protezioni, fuori tutto. Dall'inizio di questa emergenza mondiale non facciamo che rimbalzare tra diritti e valori in conflitto tra loro: libertà contro sicurezza, economia contro salute. In primavera libertà & economia sono state schiacciate da sicurezza & salute. In autunno abbiamo provato a riequilibrare i pesi, accettando di sacrificare qualcosa dal pacchetto sicurezza & salute per dare ossigeno a libertà & economia. La convivenza non ha funzionato, non almeno come avremmo voluto: alto numero di contagi e di vittime, costi sociali elevati, con la conseguenza di una nuova ondata di limitazioni e divieti. In particolare, il delitto perfetto si è compiuto con la miscela esplosiva del cashback per lo shopping natalizio e del via libera alle visite tra parenti e amici durante le feste: prima abbiamo rastrellato ogni variante del virus negli spazi pubblici e poi ce la siamo portata di casa in casa tra baci e abbracci negli spazi privati. Il virus rende instabili le molecole di libertà e sicurezza, che per convivere hanno bisogno di un processo che le stabilizzi. Quel processo è il tracciamento, finora il più grande flop italiano (e non solo italiano) di questi ultimi dodici mesi. Dovremmo investire sul tracciamento per stanare il virus a ogni sua manifestazione. Per farlo servono informazioni e quelle informazioni vanno condivise. La condivisione di informazioni sulla salute implica la frantumazione di un totem contemporaneo: la sospensione della privacy. Tenetevi pure il vostro diabete, le vostre cardiopatie, le vostre ragadi e il vostro alluce valgo, ma ditemi se siete positivi al virus: per quanto mi baciate e abbracciate, non mi trasmetterete le vostre fibrillazioni cardiache, ma questo maledetto virus sì. In questi mesi la normativa è stata più volte ritoccata, in Italia come in Europa: modifiche mirate ad agevolare il lavoro delle autorità sanitarie e la messa in sicurezza dei luoghi d lavoro. Questo ha generato una grande bolla di ipocrisia: spesso si sa ma non si può dire, si mormora ma non si può scrivere, alimentando sospetti, paure e sfiducia. “La disciplina vigente – scrive il garante per la privacy - vieta la diffusione dei dati relativi alla salute. Tale divieto non è stato derogato dalla normativa d’urgenza sull’emergenza epidemiologica da Covid-19. Pertanto, le aziende sanitarie e qualsiasi altro soggetto pubblico o privato non possono diffondere, attraverso siti web o altri canali, i nominativi dei casi accertati di Covid-19 o dei soggetti sottoposti alla misura dell’isolamento per finalità di contenimento della diffusione dell’epidemia”. Questo è il punto: rendere noti i positivi, salvaguardando la gravità della loro condizione e garantendo un diritto all'oblio immediato quando si negativizzeranno. In Veneto non vengono più rese note nemmeno le mappe dei contagi (dati aggregati, senza possibilità di identificare nessuno) comune per comune: non si può sapere come si sposta il virus, dove sta colpendo di più, come si evolve l'epidemia. Questi sono dati importanti che con la privacy non hanno nulla a che spartire, eppure non vengono più diffusi dalla scorsa primavera. Dobbiamo informare. L'informazione condivisa aiuta il tracciamento e grazie al tracciamento possono convivere salute & economia, salvando in questo modo libertà di movimento, commercio, turismo, scuola, teatri, cinema. In nome di tutto questo, non rinuncereste a questo pezzetto di privacy? Voglio spingermi anche oltre: non c'è privacy che tenga anche con la vaccinazione. Rendiamo pubblici i nomi di vaccinati e non vaccinati. Solo l'informazione ci salverà.
gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it