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La spunta blu

Il ritorno del pubblico tra estasi e violenza

William Turner, "The Shipwreck"
William Turner, "The Shipwreck"
William Turner, "The Shipwreck"
William Turner, "The Shipwreck"

“Dov’è l’ultimo porto, donde non salperemo mai più? In quale etere estatico naviga il mondo, di cui i più stanchi non si stancano mai?” (Herman Melville, "Moby Dick")

E dunque è tornato il pubblico. Nei musei, nei teatri, nei cinema, negli stadi, nelle discoteche. Forse non lo abbiamo celebrato come avrebbe meritato, questo momento. Però il decreto “Capienze” non ha solo riportato il pubblico in platea. Ci ha anche riportato nel pubblico dopo venti mesi rannicchiati nel nostro privato. Non ci eravamo più abituati, come uomini che hanno trovato riparo in una grotta restano abbagliati nel ritrovare la luce del sole. Meglio: non eravamo più allenati a stare in pubblico. Questione di muscoli, di postura, di nervi, di percezione dell'io in mezzo agli altri, molti altri, sempre più numerosi. Spesso veniamo rimproverati, noi giornalisti, per il peccato di luogocomunismo. E certo, tra i luoghi comuni più battuti, c'è la pandemia attraversata come una guerra. Scagli la prima pietra chi è senza peccato. Ci sono cascato pure io, spesso: lo confesso. E però, se chiudo gli occhi, la prima immagine contro cui vado a sbattere è la tempesta. Un mare in tempesta che agita, scuote e travolge zattere che da lontano appaiono pezzi di legno a cui sono rimasti aggrappati donne e uomini per mesi. Ora che le onde si sono placate, il vento si è spento e frammenti di orizzonte si lasciano scrutare, le zattere stanno tornando a riva, sulla terra ferma. E dopo aver ballato a lungo sulla superficie di un'acqua inquieta, i primi passi sulla terraferma sono incerti: c'è chi oscilla, chi inciampa e cade, chi avanza a fatica, in preda a vertigini con la vista appannata. Un tempo che pareva non finire mai, laggiù soli sulla propria zattera, lontani da tutto e tutti, si è ora asciugato spingendoci di nuovo nella vita, nelle piazze brulicanti di umanità, nelle botteghe, nelle osterie. Dal privato al pubblico, senza nemmeno più l'obbligo della distanza di sicurezza: a qualcuno può dare alla testa, questa improvvisa ebbrezza. Un po' quello che accade agli astronauti quando riscoprono la forza di gravità dopo giorni a galleggiare nel vuoto cosmico. Così, mentre ancora ci guardiamo intorno increduli e ci sale il cuore in gola a ogni nuvola scura che taglia il cielo per paura di precipitare ancora, appena può si libera l'energia compressa in questi mesi. E non sempre quell'energia trova sfogo in imprese sportive, coppe e medaglie. Non sempre si ricompone nell'estasi sublime di un concerto, uno spettacolo a teatro, una mostra d'arte. A volte erutta in forme violente, aggressive, barbare, cieche. Come accade nelle curve degli stadi, come accade nelle piazze delle proteste: le bacheche virtuali dei social network non bastano più a contenere rabbia e furore. Dopo quasi due anni di tensione virtuale, nutrita nel privato della propria casa o della propria camera da letto, da remoto, la tensione è tornata reale, in presenza. A meno di credere che certa polvere bastasse spazzarla sotto il tappeto, che questa bolla di violenza fosse destinata a scoppiare non è una sorpresa o almeno non dovrebbe esserlo: dai forconi ai gilet gialli, i tentativi di contaminare le piazze con tinte eversive non erano mancati anche prima della pandemia. Mentre torniamo con i piedi per terra, non dobbiamo fare altro che riallenarci al ritmo di esistenze che tornano a riempirsi, che non sono più ripiegate solo nel privato, ma si riprendono la dimensione pubblica, dove vale la pena non farsi sedurre da ambiguità scivolose e aver chiari i confini tra una manifestazione pacifica e un assalto violento, che no, non è folclore e no, non è un inno alla libertà, alla democrazia o al progresso: tutt'altro. Ora che la tempesta è passata, nessuno ha voglia di farsi travolgere da un altro sciagurato naufragio. O no?

Ps: martedì alle 13 in "Pausa pranzo" dialogherò in diretta su Instagram sul ritorno del pubblico con Piergiorgio Piccoli (Theama teatro di Vicenza), Paolo De Angelis (Famila Basket Schio) e Rosa Scapin (Operaestate festival di Bassano del Grappa). Mercoledì alle 18 appuntamento con la diretta Instagram de "La spunta blu" per rispondere a domande, critiche, osservazioni, commenti: in questa seconda puntata parleremo di commenti digitati senza pensarci e di lettere scritte a mano su fogli di carta, pensandoci cento volte, del diritto a essere scollegati e sconnessi, dei paywall, di Moby Dick, di dischi in vinile, come sempre un po' analogici e un po' digitali.

 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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