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La spunta blu

Il registro elettronico ha ucciso Pinocchio

Una scena dal film "Pinocchio" di Matteo Garrone
Una scena dal film "Pinocchio" di Matteo Garrone
Una scena dal film "Pinocchio" di Matteo Garrone
Una scena dal film "Pinocchio" di Matteo Garrone

«Non fare domande, e non ti verranno dette bugie» (Charles Dickens)
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C’era una volta il registro di carta, quello con la copertina blu, i fogli prestampati, le colonne per impilare i voti. Era un oggetto e insieme un luogo che emanava mistero e incuteva timore. Un tempio al cui culto sovrintendevano sacerdoti-prof, il cui giudizio era insindacabile dai fedeli-allievi. Nessuno di noi studenti sapeva bene cosa ci veniva scritto. I professori ci interrogavano, facevano smorfie, scuotevano la testa, arricciavano il naso, poi impugnavano il registro e quello era il segnale della fine delle ostilità: il dado era ormai tratto, noi magari continuavamo a blaterare, oppure restavamo arroccati nella nostra scena muta iniziata alla prima domanda, ma quando veniva aperto il registro i giochi erano fatti, il risultato era scolpito nella testa del prof e stava per essere trascritto nel mitologico registro. Oggi mi appare inverosimile, fatico a spiegarlo e motivarlo alle mie figlie, eppure non sempre avevamo certezza di quello che veniva effettivamente verbalizzato nel registro. Erano attimi che parevano infiniti: ce ne stavamo lì, con il gesso in una mano e un indice in bocca a rosicchiare l’unghia, mentre spremevamo le pupille fuori dalle orbite per cercare di decrittare il codice alfanumerico del prof.  Vivevamo nel sospetto e nel terrore. C’era sempre un compagno dotato di poteri soprannaturali e capacità divinatorie che osservando lo svolazzo della stilografica riusciva a captare il voto o il mezzo voto: «Ho preso otto», «No, era un sei e mezzo, l’ho capito dal movimento del braccio». In questo stato d’animo, lastricato di dubbi, privo di certezze, gravato da ogni genere di incognita, tornavamo a casa preparando la storia da raccontare ai nostri genitori: eravamo un po’ sceneggiatori e un po’ attori che ripassano la parte, preparavamo lunghi preamboli, eravamo prolissi nelle premesse, mettevamo le mani e anche i piedi avanti, raccontavamo di inciampi e suggerimenti, epifanie improvvise, sguardi in tralice, ma non sapevamo dire con assoluta sicurezza il voto impresso in quel maledetto registro. Prendevamo tempo, prima della pagella o del visitone c’era tempo per alzare la media. Sapevamo come estrarre il Pinocchio tascabile assopito da qualche parte dentro di noi.
Oggi tutto questo non c’è più. L’era del registro di carta è finita da un pezzo. Oggi viviamo nell’era del registro elettronico. Addio Pinocchio, non c’è più spazio per assenza ingiustificate, voti pindarici, resoconti confusi su quanto fatto in classe e quanto da fare per casa. Ogni cosa è verbalizzata e messa a disposizione dei genitori, che non devono fare altro che cliccare su una app del telefonino. Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a figurarmi il mio prof di latino e greco alle prese con la compilazione quotidiana di un rapporto da pubblicare on line a beneficio delle famiglie: presenti e assenti (non facevano nemmeno l’appello, certe mattine), argomenti trattati, tipo di verifica, compiti per casa assegnati, circolari, avvisi, note. E voti. C’è persino un grafico che calcola la media. C’è l’archivio con tutte le interrogazioni. Per i fanatici, volendo c’è la possibilità di conoscere cosa apprenderanno i nostri figli e su cosa verranno interrogati prima che loro stessi lo sappiano. Sembra di stare in un film di fantascienza: una cosa come “Minority Report”, in cui la polizia indaga su reati che devono ancora essere commessi. Così, senza farci caso, abbiamo iniziato a essere genitori-guardoni per l’ebbrezza di osservare frammenti della vita scolastica dei nostri figli attraverso il buco della serratura di una app sul telefonino, per diventare un po’ alla volta genitori-poliziotti, in grado di prevedere le balle che i nostri figli potrebbero servirci a cena per scansare rimbrotti, omelie o spiegoni. Non nutro particolari nostalgie per l’epoca dei registri di carta e dei Pinocchi. Il registro elettronico sarà pure un piccolo passo per l’umanità, ma un grande passo per la scuola italiana e per alimentare un rapporto di trasparenza, fiducia, collaborazione nel triangolo famiglie-insegnanti-studenti. Mi chiedo, dopo il tempo della didattica a distanza, in cui le aule sono entrate nelle case, se l’evoluzione prima o poi farà entrare le case nelle aule, con lezioni e interrogazioni riprese da webcam e trasmesse via app sui telefonini di genitori che così assisterebbero in diretta alle performance dei loro pargoli: non ci sarebbe da stupirsi, in un mondo che sta oltrepassando ogni confine della riservatezza. In fondo, fino a una manciata di anni fa nel mondo dello sport nessuno osava contestare la sacra e inviolabile legge per cui “tutto quello che accade nello spogliatoio resta nello spogliatoio”, mentre siamo ormai abituati ad assistere ai cazziatoni degli allenatori ai calciatori durante l’intervallo delle partite, spadellati nelle serie tv sullo sport che affollano le piattaforme di streaming.
Attenzione, però. Come sempre con le cose digitali, nulla è completamente gratis et amore dei. Noi possiamo monitorare le attività dei nostri figli a scuola. Ma anche noi, in qualche misura, possiamo essere osservati: i prof, infatti, hanno modo di controllare con quanta attenzione, cura e assiduità entriamo nel registro elettronico, apriamo e leggiamo le circolari, navighiamo tra bacheche e agende. Me l’avessero detto trent’anni fa, quando spremevo gli le pupille fuori dalle orbite per cercare di decrittare il voto che stava per essere impresso nel registro di carta, avrei pensato a un film di fantascienza. Oggi, invece, è la realtà. Di tutti i giorni.

Ps: mercoledì vi aspetto su Instagram con La spunta blu in diretta alle 18 per parlare di figli, sport e soprattutto di genitori che guardano i figli fare sport (la registrazione della puntata, come delle precedenti, quasi tutte almeno, sarà disponibile sul canale del Giornale di Vicenza)

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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