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La spunta blu

Il primo sms di mia figlia

Una scena del film "C'è posta per te"
Una scena del film "C'è posta per te"
Una scena del film "C'è posta per te"
Una scena del film "C'è posta per te"

«Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere... nella vita non c'è una trama» (Groucho Marx)
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Ho capito che il mondo stava precipitando quando mi è arrivato un sms di mia figlia. Un sms? Da mesi, forse anni non ne ricevevo uno che non fosse stato spedito dall’algoritmo di un call center. Da mia figlia tredicenne, poi, non ne avevo proprio mai avvistato mezzo nemmeno da lontano. Cosa stava succedendo? Paura. Panico, quasi. Non era il messaggio, del tutto innocente e ordinario, a spaventarmi: «Ciao papi, ricordati di prendere lo zaino del nuoto». Era lo strumento a essere allarmante: un sms nell’era di WhatsApp. Mi sono affacciato alla finestra. Il cielo si era fatto cupo, ma non così cupo da temere la fine del mondo. Il traffico sembrava regolare, le insegne dei supermercati erano illuminate, il volo degli uccelli seguiva traiettorie lineari. Stavo per tornare alla scrivania, quando una dopo l’altra ho visto passare una Picasso e una Multipla. Mmm. Allora ho acceso la tv: le maratone elettorali raccontavano di una sconfitta dei populisti e di una vittoria dei moderati. Ma dai? L’ultima volta avrò avuto trent’anni, non ero nemmeno padre. Gocce di sudore hanno iniziato a bagnarmi la fronte. Cercando il calendario ho sbattuto contro il poster appeso dietro la mia scrivania in redazione: il gol di Bonucci a Wembley, gli Azzurri che vincono un trofeo. Sms, Multipla, moderati vincenti, la Nazionale in trionfo: oddio, ma in che anno mi trovo? Da che razza di sortilegio sono stato colpito per ritrovarmi indietro di 15 anni? Il collasso di Facebook, Instagram e WhatsApp per ore che a molti sono apparse infinite ci ha proiettato nei primi anni Duemila, come in certi film per adolescenti, come in un episodio di Star Trek: ci siamo svegliati nella preistoria di internet. In questo inatteso lunedì di ottobre abbiamo rivissuto le nostre vite prima del web due punto zero, prima dei social, prima delle chat, prima dei selfie. Un amico di Roma mi ha detto che per la prima volta il nipote gli ha risposto al telefono: non poteva fare altro per comunicare. C’è chi per un attimo si è fatto prendere la mano dalle emozioni e ha cercato una cabina della Sip per infilarci dentro un gettone che teneva nel salvadanaio. Nelle case le famiglie si sono ritrovate nella stessa stanza per guardare tutti insieme un unico schermo e non ognuno il suo. Oppure per parlare, senza mandarsi audio di dieci minuti. Pagherei per sapere quanto tempo abbiamo speso a scrutare la rotellina in attesa della ripartenza o quante volte abbiamo spento e riacceso il telefono che magari così cambia qualcosa, metti mai. E invece non cambiava nulla. Lunedì ci siamo svegliati nel 2021 e siamo andati a dormire nel 2006. Mia figlia nemmeno era nata, nel 2006. Quando vediamo vecchi film girati quando ancora i cellulari non c’erano, mi guarda come se fossi un sumero sopravvissuto alla tarda età del bronzo e mi chiede: «Ma come facevate a vivere senza cellulari?». Non lo so, non me lo ricordo. Eppure ce la facevamo. E come facevamo a vivere prima dei social media? Lunedì, per qualche ora, l’ha scoperto. E non ha trovato altra via d’uscita che spedire il primo sms della sua vita. «Non l’avevo mai fatto», mi ha poi confessato arrossendo, manco avesse fatto una rapina in banca, comunque una cosa un po’ troppo da grandi per la sua età. E subito mi ha rimproverato, perché quest’estate le avevo raccontato com’era nata la Rete, come si era sviluppata, quell’architettura decentrata, nebulizzata, diffusa, orizzontale, per alcuni democratica, senza un vertice, in cui nessun nodo poteva prevalere sugli altri o essere indispensabile alla sopravvivenza degli altri. Che negli ultimi quindici anni internet abbia preso direzioni diverse e lontane, a volte opposte, dallo spirito delle origini, ce lo prova questo lunedì nero, il giorno del blackout che ha dimostrato la superiorità per potenza, dimensioni, influenza di un nodo sul resto della rete: la galassia composta dai pianeti Facebook, Instagram e WhatsApp è implosa in un buco nero che ha risucchiato modi di vita stratificati in questi quindici anni che ci hanno sparato dentro l’evo digitale dopo millenni analogici. Non so se sia un bene o un male, ma per una sera la casa è stata più silenziosa, meno elettrica, orfana dei trilli e delle vibrazioni che segnalano le notifiche. Dopo un po’ abbiamo spento anche la tv: gli inviati dai seggi non avevano più nulla da dire, perché le notizie non rimbalzavano via da un telefono all’altro. «È ripartito?», ho sentito chiedere prima di spegnere la luce dalla stanza di sopra. «Boh, ho già spento», ha risposto la sorella. Nell'aria un'ultima vibrazione con l'effetto dei messaggi nel film "C'è posta per te": «Sono in astinenza, come un tossico. Domani mattina metto la sveglia mezz’ora prima per vedere se mi sono perso qualcosa. Però, tutto sommato, dovremmo istituzionalizzare un lunedì al mese di social detox, come le domeniche senza auto», mi ha scritto un collega mentre il tempo sembrava scorrere sempre più velocemente a ritroso e giù in strada un tizio parcheggiava una 127, proprio davanti al graffito di Pablito con la maglia di un Vicenza splendidamente in serie A. «Ma infatti, una nuova austerity, proprio quel che ci vuole dopo la pandemia», ho risposto io. Via sms, naturalmente.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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