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La spunta blu

Il flop dei quarantenni

La copertina di "Absolution", disco dei Muse
La copertina di "Absolution", disco dei Muse
La copertina di "Absolution", disco dei Muse
La copertina di "Absolution", disco dei Muse

«Alcuni causano la felicità ovunque vadano; altri, ogni volta che se ne vanno» (Oscar Wilde)

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E poi a un certo punto noi quarantenni ci siamo ritrovati al potere. Sì, ci siamo arrivati per davvero nelle stanze dei bottoni. E ci siamo anche velocemente usciti. Non so bene come, ma dalla grande spremuta di energie e cervelli messa dentro l’insurrezione della generazione X contro il grigiume e il vecchiume della polverosa classe dirigente italiana, siamo riusciti a distillare quei due concentrati di visione politica: Matteo & Matteo, Renzi e Salvini. Come è stato possibile? Cosa abbiamo fatto per meritarci il Bomba e il Capitano? Dice: vabbè, consolati, tuo padre ha avuto Berlusconi e Prodi, tuo nonno Andreotti e Fanfani. Dico: vero, però le premesse erano altre. Quell’insofferenza per i governicchi della Prima Repubblica che sbirciavamo da bambini sulle prime pagine dei giornali o alle tribune elettorali in tv, non avrebbe dovuto generare trent’anni dopo il Papeete e il Papeete 2: già il primo era finito nei manuali di tattica e strategia parlamentare al capitolo delle mosse da evitare con cura, ma il secondo è da interdizione a vita dai pubblici uffici, perché la mappa del campo minato già la conosceva, dopo averci visto saltare in aria il suo alter ego e dopo aver avuto la seconda occasione della sua carriera politica, carriera che aveva promesso di interrompere già in seguito alla sconfitta al referendum costituzionale. I due Mattei erano le avanguardie di noi nati negli anni Settanta, svezzati dagli anni Ottanta e sedotti dagli anni Novanta. Noi “evangelisti”, per via della creatività delle nostre madri, perché se nasceva una femmina, un po’ si variava tra Laura, Elisa, Chiara, Giorgia, Anna, ma se nasceva un maschio non si scappava dai Vangeli: quanti Luca e Giovanni, tanti, tantissimi Marco, ma spesso e volentieri Matteo. Di quella corsa verso un posto al sole non rimane che la miscela esplosiva di narcisismo e arroganza con cui sono saliti e con cui sono anche caduti: due perfetti Marchesi del Grillo, con tatuato in fronte l’anatema “io so’ io e voi non siete un c...o” che Mario Monicelli aveva fatto dire ad Alberto Sordi. La loro è la sindrome dell’icarismo: come Icaro pensano di saper volare molto più in alto dei loro padri politici e finiscono per precipitare. Icari loro e dunque Icari anche noi tutti quarantenni, artefici e prigionieri della nostra fiera delle vanità che ci porta a crederci migliori di non si sa bene chi e cosa? Sì, no, boh. Il Papeete e il sequel del Papeete 2 sono storie di nemesi, la punizione riservata dagli dei dell’Olimpo agli umani che si macchiano del peccato di tracotanza. L’uno e l’altro Matteo sono promotori e vittime di un medesimo storytelling, quello della “rottamazione”: hanno fagocitato la classe politica che li ha preceduti e da quella classe politica sono stati poi fagocitati. La rivincita dei Mastella e dei D’Alema è una secchiata di acqua gelida che ancora una volta risveglia dall’illusione di un’altra Italia possibile proprio noi quarantenni, che avevamo tante buone ragioni per provare a cambiare il mondo, ma le abbiamo issate sulle spalle di due narcisi che non hanno saputo accontentarsi di avere un posto nella stanza dei bottoni, perché hanno voluto cacciare via tutti gli altri per restare da soli. La prova del potere concessa ai quarantenni è stata fin qui una falsa partenza, a essere benevoli; o un fallimento, per dirla fuori dai denti. Ha trasmesso urbi et orbi una appiccicosa sensazione di impreparazione e di irresponsabilità. La parola giusta sarebbe: immaturità. Il paradosso è che i Mattei sono arrivati in quei posti di comando sulla spinta dell’invocazione “una nuova generazione al potere”, ma i quarantenni per i quarantenni non sono riusciti a fare nulla: gli 80 euro di Renzi sono andati soprattutto a chi gode di contratti che quelli nati sotto la stella “Co.co.co.” della flessibilità non hanno mai avuto o solo in parte; la “quota cento” di Salvini ha aiutato i nostri genitori, non certo noi, che la pensione vediamo con il telescopio. Restano a ciondolare per i corridoi dei palazzi gli Speranza e i Bonafede, gli Orlando e i Di Maio, imbolsiti e ingobbiti, confusi nell’esercito di responsabili, costruttori e truppe mastellate che sta cercando di tenere in piedi il peggior governo nel peggior momento. L’aspirazione di cambiare le cose è annegata in un pozzo, quello sì comune alla generazione X, il pozzo della noia. Se grattiamo la patina di egocentrismo in superficie, sotto troveremo la noia. Questa incapacità di stare al proprio posto, questa fretta di bruciare le tappe, questo insopprimibile desiderio di alzare l’asticella, non sono altro che il riflesso condizionato di una generazione che ha sempre temuto la noia come i vampiri l’aglio: le esperienze forti, sempre più forti, la rincorsa ai record costi quel che costi, le maratone e le ultramaratone, la caccia all’iPhone più nuovo, i selfie nelle pose più pericolose dai luoghi più impervi, l’iperattivismo, la narrazione del “forever young”, l’ebbrezza di fare e disfare famiglie come fossero startup, il mito del “mangia-prega-ama” ovvero del sentirsi vivi solo cambiando vita, lasciare tutto e partire non importa per dove, tutto questo è l’horror vacui di una generazione ossessionata dalla noia e dal terrore del tempo che passa. Quando il reale non basta più, ci inventiamo l’iper-reale. E il risultato è il Papeete. O il Papeete 2.
gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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