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La spunta blu

Il club delle Prime dosi

Una scena dal film "Baciami ancora"
Una scena dal film "Baciami ancora"
Una scena dal film "Baciami ancora"
Una scena dal film "Baciami ancora"

“Non so perché le persone siano così ansiose di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticando che l'invisibilità è un super potere”. (Banksy)
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Mi telefona un amico per invitarmi a una cena a casa sua. “Ci sarà un po' di gente”, dice. Come un po' di gente? “Gente che ama la libertà e ha voglia di stare bene”. Ho capito, tutti voglio stare bene e amano la libertà. Ma quanta gente? E la prudenza? E il distanziamento? “Sei diventato ipocondriaco? Tranquillo, siamo tutti semivaccinati. Anche tu, no? L'hai pure scritto...”. Semivaccinati? “Sarà la cena delle Prime dosi” e mentre me lo dice sghignazzando, Whatsapp mi notifica l'ingresso in una nuova chat. Che si chiama proprio così: “Prime dosi”. Gli chiedo se ci si presenta con un certificato o qualcosa del genere, ma lui non mi sente: “Se vieni saremo in undici, quasi quasi chiamo la chat Pfizer eleven, come il film”. Da quando la campagna vaccinale è scesa sotto la soglia dei 50 anni, ha preso una piega da film di Muccino: si narra di neovaccinati che salgono a Monte Berico alla sera, prima di quel che resta del coprifuoco, e dalla balaustra urlano cose come “Mi sono vaccinato, fanculo il virus” annunciando che baceranno il primo o la prima che passa e se ci sta ci andranno anche a letto, in una disperata corsa a recuperare i momenti perduti durante la pandemia. Chiedo: e la privacy? Con i vaccini è esploso un fenomeno che già avevamo misurato con i contagi: la grande ipocrisia italiana, per la quale tutti sanno tutto di tutti, nonostante il Garante non faccia che ripetere che non si dovrebbe sapere. Così accadono cortocircuiti come questo: Facebook brulica di foto di punture, promemoria delle prenotazioni, racconti eroici del fatidico giorno, ma anche di manifesti No vax, anatemi contro Big Pharma e profezie negazioniste, colleghi e capi mettono like e commentano, e però formalmente il datore di lavoro non può chiedere e non può sapere nulla di nulla. Buffo, no? A me ormai accade di sentirmi chiedere anche tre o quattro volte al giorno se sono vaccinato, se ho intenzione di vaccinarmi, se ho prenotato, quando ho il richiamo, addirittura che tipo di vaccino ho fatto: capita che mi raccontino di quel tale, quello patito delle arti marziali, fisicato, con i tribali sul petto, poveretto, gli hanno fatto Astrazeneca e ha avuto un crollo. Astrazeneca è il nuovo mito dei luogocomunisti: si alimentano leggende metropolitane che passano di chat in chat acquistando sfumature penitenziali e mistiche degne delle vite dei santi. Mentre viviamo in un mondo regolato da una legge che dovrebbe impedirci di fare quelle domande, poi passiamo il tempo a imbastire interrogatori su un’informazione sensibile, che ha a che fare con il nostro stato di salute, come se ci fosse una moratoria sul tutto quello che ha a che fare con il virus e con i vaccini. Il guaio è che sulla scorta di quelle risposte poi accade che ci dividiamo, pure, tracciando confini, selezionando invitati, discriminando. Come la cena per soli vaccinati Pfizer. Una cena dei cretini. “E insomma, non vieni?”. E mentre sto per cadere nel loop di Nanni Moretti, mentre mi chiedo se mi si nota di più se vado o se non vado, mentre sospetto che se non vado penseranno che non mi voglio vaccinare e così mi sembra di stare dentro uno di quei romanzi di fantascienza in cui l’umanità è divisa tra i “Protetti” e gli “Esposti”, lui mi dice a sangue freddo: “Dai che poi andiamo a Monte Berico a urlare dalla balconata e a baciare la prima che passa e se ci sta ci andiamo anche a letto. Non è bellissimo dopo tutti questi mesi?”. E allora dico no, urlare da Monte Berico no, baciare la prima che passa no, Muccino no. E no alla cena delle Prime dosi. Magari aspettiamo la seconda.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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