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La spunta blu

I tagli alla cultura e la pigrizia dello streaming

Gustav Klimt, "Signora con cappello e boa di piume"
Gustav Klimt, "Signora con cappello e boa di piume"
Gustav Klimt, "Signora con cappello e boa di piume"
Gustav Klimt, "Signora con cappello e boa di piume"

«Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci. Non so perché. C’è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi. Ed entri in un altro mondo» (David Lynch)

Fanno un gran rumore i tagli ai contributi destinati alla cultura decisi dalla Regione Veneto. C’è ancora margine di manovra per una correzione di rotta, se non proprio per un’inversione a “U”. Intanto però i tagli ci sono e fanno male, anche solo per averci pensato e per averli messi nero su bianco. Questo sarebbe il momento di aggiungere, non di togliere ossigeno. Non solo perché i luoghi della cultura hanno pagato il prezzo più alto sull'altare del virus: nella classifica delle chiusure, vincono per distacco la cronoscalata per poter riportare il pubblico nei teatri, nei cinema, nei musei, negli spazi dell'arte e della musica. Già questa quaresima dell'anima da sola è stata un conto salatissimo che ha interrotto cartelloni e carriere. Come se non bastasse un salasso da cui non tutti si sono ripresi per ripartire, questo sarebbe il momento di aggiungere, anziché togliere ossigeno perché uno degli effetti collaterali della pandemia è stato abituare il pubblico all'assenza. L'esperienza sconvolgente del lockdown è stata tenuta a bada anche grazie alla smaterializzazione dei prodotti culturali, liofilizzati sui canali social e sulle piattaforme di streaming, che hanno ricevuto in regalo dal virus un eccezionale impulso. L'incertezza indotta dalla nuova ondata di contagi, combinata con la comodità del salotto trasformato di volta in volta in teatro, cinema o museo virtuali, è una perfida manciata di sale sulle ferite di questi ultimi ventidue mesi. Chi di cultura vive deve fare i conti con nuove modalità di fruizione: una concorrenza sleale, a volte slealissima, perché la "presenza" ha un costo che l'"assenza" non ha oppure ha in misura straordinariamente inferiore. Buona parte del pubblico si è impigrita e si accontenta di assistere da lontano: meno spese, meno rischi, meno fatica, meno impegno. Non mi viene una parola più precisa di questa: pigrizia. È come se oggi il mondo della cultura dovesse farsi carico anche di riallenare gli spettatori all'esperienza di assistere a uno spettacolo dal vivo, come accade con un atleta vittima di un infortunio: serve una rieducazione, va riscoperto un piacere dimenticato, va ritrovata anche una postura, del corpo e dello spirito. Il mio smartwatch mi tormenta ogni giorno per ricordarmi di non restare incollato alla scrivania o al divano: alzati, cammina, corri, respira. Ecco, servirebbe qualcosa di simile anche per gli eventi culturali in presenza: togliti la tuta, scegli il tuo abito migliore, pettinati e profumati, esci di casa, vai a teatro, vai ad ascoltare la presentazione di quel libro, vai al concerto, vai al cinema. Primi a chiudere e ultimi a riaprire, i luoghi della cultura in presenza hanno il compito di riannodare un filo lungo come la storia della civiltà europea, dall'antica Grecia a noi. Ecco perché questo sarebbe il momento di aggiungere, non di togliere ossigeno.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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