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La spunta blu

Ho fatto un giro su TikTok (ma non ditelo alle mie figlie)

Una scena del film "La finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock
Una scena del film "La finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock
Una scena del film "La finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock
Una scena del film "La finestra sul cortile" di Alfred Hitchcock

«È quel che siamo tutti: dilettanti. Non viviamo abbastanza per diventare di più» (Charlie Chaplin)
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Ho fatto un giro su TikTok. Sì, lo confesso, ma non ditelo alle mie figlie, vi prego. Un po’ per caso mi sono trovato come Adriano Celentano in “Azzurro”: loro al mare con la nonna, io a casa tra l’oleandro e il baobab, sento fischiare sopra i tetti un aeroplano che se ne va. Non c’era nemmeno il calcio in tv, rapidamente evaporato in questa estate europea. Avrei anche letto, non fosse che, per una coincidenza che non mi so davvero spiegare, il libro che ho iniziato una decina di giorni fa, in tempi non così sospetti, per titolo fa “Middle England” e in copertina indossa la croce di San Giorgio: troppo, per i miei standard di scaramanzia avrebbe richiesto un supplemento di riti purificatori e gesti apotropaici al limite dell’esorcismo. Quasi quasi prendo un treno, allora. Oppure faccio una cosa che fanno loro, le mie figlie: do un’occhiata a TikTok. Non so perché, ma non l’avevo mai fatto. Non ho la vocazione da genitore-segugio: di solito osservo più che controllare, faccio domande più che inchieste, parlo e ascolto. E poi mi era sempre sembrato uno spazio interdetto agli adulti, come quei parchi giochi in cui un uomo della mia età, solo, senza figli al seguito, viene guardato con sospetto o addirittura multato. Di certo mi risulta più famigliare il tiki-taka, al limite il tuca-tuca. Così ho googolato quelle sei lettere, subito sentendomi un po’ un maniaco, un po’ un voyeur. E la prima sensazione, in effetti, è quella di spiare le vite degli altri attraverso il buco della serratura: questa tentazione mescolata a un remoto senso di colpa è un ingrediente di tutti i social network, ma qui di più, non so dire perché. Sono tutti giovanissimi e fanno cose da giovanissimi. Si respira un’aria rilassata e allegra. Sembra la sagra del cazzeggio: qui cazzeggiano tutti, chi fa le cose e chi le guarda. Il primo video che mi capita a tiro mostra lei e lui che attaccano sul parapetto di un ponte un lucchetto con le loro iniziali e gettano le chiavi nel fiume. Di lato un pallottoliere tiene il conto di cuoricini e commenti: sono un’enormità smisurata, centinaia, migliaia, non ci si crede per una storia come questa. Eppure. Un tale di spalle, a torso nudo, con un telo legato in vita, attende nella sua cameretta che qualcuno apra la porta. Quando entra la madre, le declama versi sulla libertà e scioglie il nodo del telo, che cade a terra. Lei, poveretta, si copre gli occhi, temendo di mandare lo sguardo a sbattere contro le nudità del figlio. Ma è uno scherzo, perché sotto il telo il ragazzo indossa dei boxer salvascherno. Non sono pochi i genitori che si prestano a queste gag: adolescente protagonista con mamma o papà complice è un genere, tra i non moltissimi avvistati nel mio tour. Un altro canovaccio molto frequentato è l’esibizione estetica, a metà strada tra un tutorial e una fiera delle vanità: acconciature, trucchi, trecce, basette, ciglia, unghie, tatuaggi, creme abiti e costumi, mezze nudità, vedo e non vedo.
La comfort zone da queste parti, però, è quella che potremmo chiamare “Corrida”. Ogni tre video, stimo a spanne, ce n’è uno in cui qualcuno balla o canta o balla e canta insieme. In realtà non è esatto dire che canta: muove le labbra mentre va una canzone. In inglese si chiama “lipsync”, noi matusa lo conosciamo come “playback”: a suo modo è un’abilità, non tutti ci riescono, io sono sempre stato un disastro. In bagno, per la strada, sotto la pioggia, in garage, in auto, sulla metropolitana: è il grado zero di TikTok, il porto sicuro in cui si rifugiano i TikToker quando non sanno che altro fare o che altro guardare. Una volta mi è capitato di aver attraversato per errore l’inquadratura di un tizio che stava fingendo di cantare in piazza Castello, accanto al Coin. Era solo, si dimenava e muoveva la bocca. Più che un errore di distrazione, il mio era stato un errore di incoscienza: davvero non sapevo cosa stesse combinando, a chi stesse parlando, non vedevo nessuno a parte lui. Solo dopo ho realizzato che quello era un TikToker e che stava girando uno di questi film da due minuti, ma anche meno. La modalità “dilettanti allo sbaraglio” è l’autentico marchio di fabbrica di questo luogo. In giro non si vedono talenti enormi e clamorosi, semmai molta improvvisazione, imitazione, emulazione: artigianato più che arte, creatività più che genio, perché qui nulla si crea dal nulla, ma tutto evolve aggiungendo qualcosa alla performance di qualcun altro, ci si guarda, ci si copia, in un mulinare ipnotico di immagini di cui si perde il filo e non si capisce più se c’è qualcuno che ha iniziato per primo. È la tv dei ragazzi, ma per davvero: se la fanno da soli, senza adulti, senza mediazioni, si costruiscono il loro personale palinsesto, fanno i registi, gli attori e gli spettatori in una volta sola, in uno stato di allegro cazzeggio, in uno stile grossolano, approssimativo, diretto, buona la prima. I set sono poveri come povera può essere una camera da letto o un garage o la fermata di autobus: non c’è ricerca di eleganza e perfezione, c’è l’urgenza dell’immediatezza. La mia è stata solo una perlustrazione superficiale, senza pretesa di svelare nulla che non sia già noto: non ho scavato nei recessi in cerca del lato oscuro di questo mondo, quello che viene spesso raccontato sulle pagine dei giornali letti dagli adulti e popolato da assurde sfide che giocano con la vita e la morte, o da manipolatori, stregoni e fattucchiere. Né ho indagato sul Grande fratello cinese che agitava i sonni di Donald Trump, manche se posso dire che l’algoritmo mi ha profilato piuttosto bene, persino meglio di Google o Facebook: in poche mosse (le mie) ha capito l’essenziale per suggerirmi cosa guardare, dove e chi. A occhio è un potente e straordinario strumento per comunicare, ma non solo: lo spirito che pervade TikTok è quello dei provini di un gigantesco talent show, qui i ragazzi si misurano, si testano, si pesano, capiscono un po’ di più chi sono, cosa vorrebbero essere e come ci possono arrivare. Anche per questo la selezione mi sembra spietata: i pallottolieri con cuoricini, condivisioni e commenti sono una pagella che non smette di promuovere o bocciare, in un amen si passa dagli altari alla polvere, a volte senza un perché. Mentre esco senza fare rumore, un po’ stranito e molto annoiato, penso che vietare o demonizzare serva a poco o nulla se non a mettere distanza tra genitori e figli, alzando gli stessi muri che abbiamo alzato noi trent’anni fa quando ci veniva proibito di vedere “L’uomo tigre”, oppure patteggiavamo la prima mezz’ora di “Drive In”, mentre dalla cucina sentivamo sospirare: «Chissà cosa ci trova da ridere». Meglio parlare, anche se costa fatica. Farsi raccontare, provare a capire, magari ci scappa pure una risata anche se non fa ridere. Lì dentro, con la complicità della pandemia, si danno appuntamento ogni giorno milioni di ragazzi da una parte all’altra del mondo: è la generazione “T” come TikTok, prima o poi saranno loro a prendere in mano il volante e a guidare il pianeta. Quando capiterà, qualcuno si chiederà perché mai ogni cosa verrà decisa e comunicata attraverso brevi video di uno o due minuti, girati in fretta in una cucina o nell’abitacolo di un’auto: segnatevelo, perché la risposta sarà dentro questo piccolissimo schermo, la tv dei ragazzi, fatta da loro per loro, dove un padre quarantenne in una sera di luglio senza partite della Nazionale e con le figlie al mare, mentre dà una sbirciata si sente un intruso e uno spione, come James Stewart che, con binocolo e teleobiettivo, sbircia il mondo là fuori dalla “Finestra sul cortile”.

Ps: a proposito di Cina, Grande fratello e soft power. Ci sono milioni di ragazzi su una zattera in mezzo all'oceano della vita, su e giù per le onde della pandemia. Quei ragazzi sono il futuro di tutti noi. E sapete chi è il proprietario della zattera? Indovinato. Come se fosse una metafora geopolitica, americani sono i social network che più frequentiamo noi adulti, cinese è la piattaforma dei ragazzi: se qualcosa vuol dire, lo scopriremo tra qualche anno

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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