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La spunta blu

Generazione Playlist

Il pesce rosso simbolo della serie tv e del film "Boris"
Il pesce rosso simbolo della serie tv e del film "Boris"
Il pesce rosso simbolo della serie tv e del film "Boris"
Il pesce rosso simbolo della serie tv e del film "Boris"

“State attenti a quel che desiderate, che poi è capace magari che si avvera” (Vinicio Capossela)

Dicono che abbiamo una soglia di attenzione ormai peggiore di un pesce rosso: otto, nove secondi, meno di una finale olimpica dei 100 metri. Se fosse davvero così come dicono, dovrei già iniziare a salutare: a occhio sono già trascorsi una decina di secondi di lettura, da qui in avanti perderei buona parte di chi è planato su questo post seer tentato di infilare parole acchiappa-clic come “Isola dei famosi”, “Chiara Ferragni”, “sesso”, “topless”. Qualcuno, in realtà, resiste e prova ad arrivare fino in fondo. Mi auguro qualcuno in più dell’eroica dozzina che si collega abitualmente alle dirette via Youtube del consiglio comunale di Vicenza. Una dozzina sembra una miseria: considerando che nel teatrino di sala Bernarda tra assessori e consiglieri ci sono almeno quaranta attori, significa che in platea ci sono meno persone che sul palco e tra queste nemmeno tutti i morosi, coniugi e genitori se la sono sentita di assistere alle gesta dei loro prodi. Non va meglio altrove, nemmeno in parlamento, dove bisogna attendere la caduta o il debutto di un governo per eccitare gli animi. Sto facendo un giro largo per arrivare a dire che la battaglia che devono combattere gli stoici consiglieri vicentini è simile, mutatis mutandis, alla epocale sfida lanciata al mondo del calcio dalla sporca dozzina che ha provato a varare una Super Lega durata meno di 48 ore. Se l'erano inventata – hanno detto – per competere con Fortnite e Playstation. Per questo volevano un torneo fatto solo di sfide tra giganti, senza nanerottoli tra i piedi. Per questo volevano cambiare anche le regole del gioco, per regalare emozioni a ciclo continuo, senza perdite di tempo, senza pause. È la battaglia, pazza e disperata, del nostro tempo: la battaglia dell’attenzione. Ne sappiamo qualcosa noi giornalisti, che sin dai tempi del piombo e dei telefoni a gettoni ci sentivamo dire “tanto la gente legge solo i titoli”. Ora che viviamo nell’epoca degli smartphone, certe tendenze che fluttuavano da qualche parte sotto la superficie come certi fiumi carsici, sono venute alla luce durante questo anno di pandemia, che ha dilatato il tempo, ma lo ha anche sminuzzato, parcellizzato in tanti micromomenti che hanno frammentato la nostra attenzione, la nostra capacità di concentrarci. Fate uno sforzo e provate a ricordare l’ultimo film a cui avete assistito senza staccare gli occhi dallo schermo, senza rispondere a un messaggio o senza googlare la filmografia del regista o ancora senza controllare il meteo o i risultati della premier league. È una tentazione troppo forte che ormai si è fatta esigenza: provare a fare molte cose in una volta, guardare un film, restare aggiornati sulle news, chattare con i genitori della quinta elementare e magari ascoltare le fasi salienti del voto di fiducia al Senato. Io sono uno di quelli che continua a preferire l'ascolto di un intero album piuttosto di una singola canzone: solo così mi sembra di entrare nella stanza che l'autore ha arredato, solo così respiro l'atmosfera, osservo la luce, sfioro gli oggetti, misuro i contrasti nei colori. Una canzone non basta a me che arrivo dal secolo scorso, basta e avanza alle mie figlie, millennials, generazione “Playlist”, che mi chiedono i titoli delle canzoni più belle per creare le loro stanze musicali, arredate come vogliono loro, con la luce abbagliante e l'atmosfera frizzante che hanno sempre le collezioni del meglio del meglio. Ma non vi interessa ascoltare cosa viene prima e cosa viene dopo, capire come ci siamo arrivati a quell'emozione? “No, ci basta l'emozione”. Noi quarantenni cresciuti a cavallo di due secoli e di due civiltà, quella analogica e quella digitale, siamo i più combattuti, divisi tra una concezione novecentesca dell'esistenza, fatta di attese, di noia, di lavoro dietro le quinte, di vite da mediano, e le allettanti suggestioni della generazione “Playlist”, che teme la noia, che vuole essere stupita e meravigliata in continuazione, che cerca l'effetto wow in ogni esperienza da immortalare in una foto da postare su Instagram o in un video da diffondere via Tik Tok, che cerca il mai visto prima, il record, che soffre l'horror vacui, il vuoto delle attese che qualcosa di incredibile accada. I nostri figli, poco o tanto, ci sono dentro a questa nuova cultura del colpo di scena. Faticano a guardare una partita di calcio intera, con i suoi vuoti, le lunghe preparazioni, le costruzioni dal basso, le pause. Preferiscono lo sport liofilizzato nelle sintesi dei momenti salienti, gli highlights. E quello che chiedono allo sport chiedono anche a un film (su Youtube cercano le scene più celebri), a un libro (il modello Bignami portato alle estreme conseguenze), a una gita o a una vacanza. Cancellare dalla vita i tempi morti, cercare solo i momenti unici, anche se durano pochi secondi, più o meno una decina, come la soglia di attenzione dei pesci rossi. Non so dire se sia giusto o sbagliato, so solo che questa cosa è in atto ed è esplosa nell'ultimo anno e a nulla o quasi serve opporsi ricordando che senza le prime partite giocate da fantasma non staremmo a raccontare senza mai stancarci la storia di Paolo Rossi, eroe mundial, capace di risorgere dalle sue ceneri segnando tre gol al formidabile Brasile di Zico. La vita ha una grammatica e una sintassi, è fatta di una somma di piccole cose insignificanti, che cucite una all'altra acquistano senso, come gli articoli, i nomi, i verbi, le preposizioni, le congiunzioni sono tutte tessere che compongono il mosaico di una frase. Sarà che sono un ex ragazzo nato nel secolo scorso, ma quando assisto a qualcosa di straordinario come il glissando di clarinetto in Rhapsody in Blue o il twist di Pulp Fiction o il terzo gol al Brasile di un calciatore che non doveva nemmeno essere lì, in quel momento, con quella maglia, è più forte di me, il primo pensiero che mi scatta dentro è: ma come siamo arrivati fino a qui? Cosa è successo prima? Da dove arriva questa emozione? Sento pungere il desiderio di aprire la scatola e di capire come è stata costruita, sapere chi l'ha costruita e cosa gli passava per la testa quando ci ha pensato, quante volte è caduto e com'è riuscito a rialzarsi. Tutto questo non lo trovi nelle playlist o negli highlights. Lo trovi se hai la pazienza, la curiosità, la passione di leggere tutto il libro, di vedere tutto il film, di ascoltare tutto il disco, di vivere tutta la partita. E però abbiamo sempre meno tempo. E sempre meno attenzione. Persino meno dei pesci rossi.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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