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La spunta blu

"Fare figli a vent'anni in Italia si può, anche arrivando dalla Colombia"

Alighiero Boetti, "Mappa"
Alighiero Boetti, "Mappa"
Alighiero Boetti, "Mappa"
Alighiero Boetti, "Mappa"

Cedo volentieri un po’ di spazio a una lettera che racconta in una storia tante storie: leggerete di un ragazzo che ha attraversato il mondo per cercare fortuna in Italia, che ha remato contro la corrente di un paese spesso avaro con i giovani, soprattutto se arrivano da lontano; un ragazzo che ha fatto cose che a non tutti riescono, o almeno non riescono più, come costruire una famiglia a vent’anni mentre si studia e si lavora. Me l’ha spedita dopo aver letto il racconto di Giulia Armeni sull’odissea per ottenere un mutuo da single precaria a trent’anni. Questa è la testimonianza di un uomo che ce l’ha fatta, che ha realizzato il suo piccolo grande sogno in Italia, ma che parla di sé, della sua vita e della sua traiettoria non di altri. Non vale la pena di generalizzare, di prendere la parte per il tutto o di farne trattati sociologici su come le cose debbano o non debbano andare.
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Ciao Gian Marco, mi presento, sono Dylam Paolo Bedoya de Avila; chiamami Dylam o chiamami Paolo, come vai meglio. Oggi sono qui a raccontarti la mia storia, non saprei se definirla storia o avventura, in entrambi i casi il protagonista non sono io ma questo pezzo di terra a sud dell’Europa a forma di stivale: l’Italia. È da anni che avevo in mente di scrivere quanto vissuto in questi anni in Italia, in Veneto e più di preciso nella mia amata Vicenza, si lo so, fa strano sentirlo dire ma posso assicurarti che “Anca mi sò vicentino”; ad agosto di quest’anno faccio 10 anni in Italia, tondi tondi. Mi presento: Classe 94’ nato a Cartagena de Indias (Colombia), mi raccomando non confonderla con la Cartagena spagnola, potrei offendermi. Arrivai a Venezia il 29 agosto di quel lontano 2011, dopo oltre 16 ore di viaggio, tre aerei e tanti sogni nel cuore. Avevo 17 anni, appena compiuti; fu mia madre a ricevermi all’aeroporto di Venezia quel caldo pomeriggio d’estate, mi ricordo come se fosse ieri la prima volta che vidi il treno regionale di Trenitalia, che emozione; era vero, finalmente ero in Italia. Potrebbe sembrare strano ma parlavo già Italiano, mi allenavo da quando avevo 15 anni grazie a Youtube, imparai l’italiano cantando le canzoni di Andrea Bocelli, Adriano Celentano e non potrei mai scordare la voce di mia nonna materna quando diceva: “chissà se un giorno metterai piede in Italia, io me lo auguro per te perché non c’è la faccio più a sentirti cantare in parole strane che io non capisco”. Con un diploma estero in mano provai ad iscrivermi all’università ma ero troppo giovane, un diciasettene in Italia frequenta ancora le superiori per cui non avevo altra scelta, mi iscrissi al Lampertico e feci l’odontotecnico. Per via dell’età sono partito dalla seconda superiore e a Luglio del 2015 dopo un bel po’ di sacrifici, notti insonni e un part-time alle spalle presi il diploma, che bel traguardo. Piccola e meravigliosa parentesi, a Novembre del 2014 mi sposai con una bellissima ragazza Italiana e a Maggio del 2015 diventai padre; questo fu solo l’inizio in quanto non fu per niente semplice per un ragazzo 21enne all’epoca portare avanti una famiglia con tutte le responsabilità che sono collegate alla vita da papà e marito. Giorni fa leggevo un tuo articolo che spiegava l’odissea dei giovani per l’acquisto della casa, vi confermo che è sempre più difficile farcela ma ringrazio l’altra lettrice per aver condiviso con tutti noi questo briciolo di speranza per chi ci crede ancora; io ci credo, in questa nazione meravigliosa, in questa Italia che amo e dalla quale sono cittadino da poco meno di un anno, evento per me più importante di quanto possa essere l’arrivo su Marte per Elon Musk, giusto per capirci. Ai giovani che leggono, dico di non mollare, di credere nell’amore, di credere in questa terra che ha ancora tanto da donare, non guardate il bicchiere mezzo vuoto, guardate il bicchiere mezzo pieno, ve lo dice un ragazzo che ci ha creduto e dopo anni di lavoro precario, contratti scarsi e mancanza di aiuti non ha mai smesso di credere. Pochi mesi mancano al mio primo decennio in Veneto, più di preciso a Vicenza; sembra ieri che sbagliavo le doppie e pronunciavo male le “S”, oggi invece se esco dalla provincia mi dicono “Ti si Vicentin”, per non dire l’ultima volta che andai in Colombia per vacanze e un signore Italiano mi fermò in Aeroporto a Madrid e mi disse: Di Vicenza da quello che sento. Non vi nascondo che il mio cuore è grato e diviso, porto dentro l’amore per due nazioni, così diverse e così belle allo stesso tempo. Agli Italiani che leggono dico: amate questa nazione, questa bella terra, la cultura, la gente. Avrei tante altre storie da raccontare ma penso che così può bastare, nel frattempo vi saluto mentre ascolto “il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano” e tra una cosa e l’altra ora in casa siamo in 5, io, mia moglie e 3 bellissimi bambini, che tempi.
Dylam Paolo Bedoya

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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