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La spunta blu

Chi ha paura della parola "pace"?

Georges Seurat, "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte"
Georges Seurat, "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte"
Georges Seurat, "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte"
Georges Seurat, "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte"

«Pace non trovo et non o’ da far guerra» (Francesco Petrarca)
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E dunque pace sarebbe diventata una brutta parola, divisiva, di parte, per alcuni ma non per tutti. Accade a Vicenza, dove la maggioranza di centrodestra medita di cambiare nome all'immenso parco che sta nascendo sulle ceneri dell'ex aeroporto Dal Molin, accanto alla base americana che divise Vicenza e l'Italia quindici anni fa. Ricalcando la parabola toccata a “Imagine”, la canzone-inno di John Lennon finita all’indice dei neomaccartisti nostrani che la catalogano tra i testi marxisti, pace odorerebbe di cattocomunismo e terzomondismo: non lo esplicitano, nel centrodestra vicentino, ma vi alludono. C’è chi dice sia ideologica, chi la sente retorica e pomposa, chi ancora scollegata dalla storia di Vicenza. Sia chiaro: il sindaco e la sua maggiorana sono pienamente titolati e legittimati a cambiare quel nome, così come sono stati pienamente titolati e legittimati nel modificare nella sostanza il progetto ereditato dal centrosinistra. Non sarebbe male spiegare bene le scelte, motivarle, raccontarle: fin qui sono state balbettate ragioni vaghe, che hanno finito per buttarla in caciara, come certifica lo scontro di questi giorni. Dice molto dei tempi che viviamo questa improvvisa guerra contro la pace: dice della polarizzazione cronica su tutto e tutti, dal calcio ai vaccini, come nella canzone di Giorgio Gaber. Eppure i dizionari non offrono alcuna lettura politica di una parola che pronunciamo o leggiamo molte volte al giorno. A messa il sacerdote invita a scambiarsi un segno della pace, mentre quando la cerimonia si avvia ai titoli di coda formula l’augurio canonico: «Andate in pace». Qualcuno si è mai offeso? Forse allora conviene tornare all’origine e al grado zero del significato. Questa è la definizione che ne dà la Treccani: «Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti». Scritta così, sembrerebbe il contrario di guerra e non suonerebbe poi così stonata, in effetti. Qualche legame con questa terra, più o meno diretto, si trova poi senza difficoltà: oltre a confinare con una caserma militare, il parco sorge su quello che era un campo minato, imbottito di bombe seppellite dai nazifascisti o sganciate dagli angloamericani durante l’ultimo conflitto mondiale; pace compare nella bandiera dei veneti, accanto al leone, scolpita su tavole di pietra: “Pax tibi, Marce, evangelista meus”; all’articolo 2 dello Statuto comunale si legge che Vicenza «riconosce nella pace un diritto fondamentale per la persona e i popoli». Pace non è e non può essere una parolaccia, su. L’accusa, semmai, potrebbe essere di scarsa fantasia in una città che conta già un viale e un villaggio intitolati alla pace, guarda caso tutti annodati alla presenza a stelle e strisce ai piedi dei Berici. Il limite, allora, non è tanto l’uso, ma l’abuso di una parola “prezzemolo” che in sessant’anni Vicenza ha agitato davanti agli amici americani come se fosse aglio per i vampiri. Dell’intitolazione forse non si erano fatti persuasi fino in fondo nemmeno i promotori del centrosinistra, se è vero che hanno scordato di sciogliere la ceralacca in fondo a un atto formale della giunta o del consiglio comunale. Il guaio è che l’alternativa ancora non c’è: di sicuro abbiamo capito che “pace” non piace a palazzo Trissino. Intitolarlo a personaggi che abbiano lasciato il segno a Vicenza, dunque: sì, ma a chi? A Paolo Rossi, a cui è da poco stato intitolato lo slargo davanti allo stadio e che sarà onorato con un museo? Con una contorsione storica si potrebbe tornare alla casella di partenza e celebrare i pionieri dell’aviazione, come quel Tommaso Dal Molin, a cui era dedicato il fu aeroporto e che è stato fatto oggetto di una silenziosa rimozione per sfumare il ricordo delle divisioni sul progetto della base Usa: più che l'aeroporto, nel resto del mondo era noto il movimento "No Dal Molin", al punto che gli americani si sono premurati di dedicare la loro caserma al partigiano Renato Del Din. Tributarlo allora a un Papa o a un santo, o a un Papa santo come Giovanni Paolo II, di cui a settembre ricorrerà il trentennale della storica visita a Vicenza, come se di pace non si fosse mai occupato? Tra molti dubbi, la certezza è che di questo parco senza pace, ai vicentini più che battezzarlo interessa viverlo: dopo 15 anni dal caso Dal Molin, Vicenza ha una nuova caserma americana, ma non ancora un parco, comunque lo vogliate chiamare.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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