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La spunta blu

Cashback, un Robin Hood al contrario

Una scena dal film "Robin Hood, principe dei ladri"
Una scena dal film "Robin Hood, principe dei ladri"
Una scena dal film "Robin Hood, principe dei ladri"
Una scena dal film "Robin Hood, principe dei ladri"

“Voglio che risolviate i vostri problemi, diventando ricchi”. (dal film “The Wolf of Wall street”)
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Nel momento in cui scrivo sto occupando la posizione numero 3.249.134 nella classifica del super cashback. Sono lontano anni luce dalla ristretta cerchia dei primi 100 mila posti a cui spetta il premio di 1.500 euro ogni sei mesi. Gli spifferi di palazzo raccontano che la rivoluzione dello Stato che restituisce i soldi è già avviata sul viale del tramonto. Il governo Draghi sarebbe intenzionato a riscrivere il progetto del governo Conte, almeno come l’abbiamo conosciuto fin qui. L’operazione nasceva sulla scorta di alcune buone intuizioni: da un lato combattere l’evasione fiscale stimolando i pagamenti tracciabili, dall’altro offrire un sostegno ai negozi (reali, non virtuali) in un tempo grigio per non dire nero per il piccolo commercio. Confesso che le premesse erano piuttosto seducenti, ma l’applicazione è stata molto discutibile. Provo a dire perché.
1. Il cashback e più ancora il meccanismo del super cashback sono un Robin Hood al contrario: chi più può spendere, più può incassare. Tradotto: paghiamo tutti perché guadagnino (davvero) solo pochi. Uno Stato come l’Italia - ripeto: come l’Italia - che restituisce quattrini nel giro di un paio di mesi, con tutti gli arcinoti difetti e vizi del Leviatano burocratico, in effetti può dare le vertigini. Vedere accreditate somme, per quanto modeste, quando siamo abituati a vedercele prelevare, ha l’effetto di una droga euforizzante. Il guaio è che il cashback non è gratis, da qualche parte quei quattrini vanno presi: sorpresa, vengono succhiati dalle tasse, quindi lo paghiamo tutti. La novità è che la gradualità questa volta viene applicata al contrario: chi è meno ricco avrà meno rimborsi, chi è più ricco avrà più rimborsi. Questa è l’equazione, salvo rare eccezioni. Tutto normale? Vi sembra un sistema equo?
2. Il cashback è un’opportunità di peso specifico ben diverso per chi vive a Milano e per chi vive a Enego. Una norma così discriminante sembra un assist per lasciare i piccoli Comuni per trasferirsi nelle grandi città. Ovvero: uscire dalla foresta di Sherwood per andare a vivere a Nottingham. Ancora una volta: Robin Hood al contrario.
3. C’è stata una stonatura nella scelta del momento per il varo. Spingere gli italiani a uscire di casa per entrare in negozi affollati durante lo shopping natalizio proprio mentre infuriava la seconda ondata del virus e i bollettini della protezione civile segnalavano centinaia di vittime ogni giorno, è stato un paradosso dalle conseguenze gravi che abbiamo pagato tutti con le zone rosse e arancioni delle feste. Non solo ha creato le condizioni per rischi evitabili, ma ha aggiunto confusione a confusione, diffondendo messaggi contraddittori da parte di uno Stato che con una mano limita la libertà di movimento, ma con l’altra fa di tutto per incentivarla.
4. C’era una volta il Totocalcio, poi c’è stato il Superenalotto, oggi c’è la classifica del super cashback da controllare alla sera prima di andare a dormire. Non sono particolarmente incline a mescolare etica e mercato, morale e soldi, però mi stupisce che questa spinta al consumismo compulsivo sia stata suggerita da un governo, il Conte bis, considerato tra i più a sinistra della storia repubblicana, animato da un partito erede del Pci e da un movimento che si era presentato agli occhi degli elettori in saio e sandali evocando un nuovo francescanesimo, agitando la bandiera del bene comune e instillando i germi di un maoismo digitale. Mi ripeto, ma almeno ci capiamo: i Cinque stelle si erano costruiti l’immagine di un partito “Robin Hood” che avrebbe dovuto togliere alle élite finanziare, all’establishment, ai potenti, per dare al popolo che geme in catene oppresso. Siamo sicuri che sia questo cashback lo strumento per attuare questa rivoluzione?
5. Non tutto del cashback è da buttare, anzi. Cercherei di salvarne lo spirito delle origini: combattere l’evasione fiscale e sostenere i negozi, quelli con le mura e le vetrine. Bisognerebbe allora ripartire dai fondamentali ed escludere la grande distribuzione o i benzinai: al supermercato o a fare il pieno ci andiamo comunque, con o senza cashback, senza contare che in quei luoghi è impossibile fare acquisti senza scontrino, mentre sono possibili i micropagamenti alle casse automatiche delle stazioni di servizi, autentica distorsione del meccanismo. Il cashback andrebbe circoscritto ai negozi che patiscono la concorrenza del commercio on line: abbigliamento, scarpe, casalinghi, librerie, solo per dirne alcuni. Vogliamo salvare il circuito delle botteghe storiche e i negozi di vicinato nei quartieri di periferia o nei piccoli Comuni montani? Offriamo l’assist del cashback: in questi casi sì che può fare la differenza.
6. Senza correttivi, mi tengo il mio scetticismo. Riguardo la cifra che mi sono visto restituire. Posso essere onesto? Avrei preferito che, per una volta, mi avessero ridotto le tasse. Sarebbe stata un’azione in stile... come posso dire? Ecco, sì: in stile Robin Hood.
 

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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