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La spunta blu

Bruce Springsteen come Mario Draghi: tutte le strade portano al centro

Bruce Springsteen in concerto, qualche anno fa
Bruce Springsteen in concerto, qualche anno fa
Bruce Springsteen in concerto, qualche anno fa
Bruce Springsteen in concerto, qualche anno fa

«Ma l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale» (Lucio Dalla, “Disperato erotico stomp”)
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Non avevamo ancora finito di stropicciarci gli occhi dopo aver visto Matteo “Adenauer” Salvini sfilarsi la felpa da sovranista e annodarsi la cravatta da europeista alla guida della nuova pettinata, inamidata e stirata Eurolega, che dall’altra parte dell’oceano durante la finale del Superbowl andava in onda uno spot che non era solo uno spot, ma un manifesto politico. Il video dura circa due minuti, è girato con i controfiocchi e si intitola “The Middle”, il centro. Protagonista è un uomo di 72 anni in abiti da cowboy che a bordo di una Jeep lancia un messaggio di pacificazione agli Stati Ri-Uniti d’America e lo fa da una piccola capella in legno bianco a Lebanon, in Kansas, costruita al centro esatto degli Usa: l’ombelico del mondo. Quell’uomo di 72 anni è Bruce Springsteen. Sono ormai pronto a tutto. Non passa giorno, in questo 2021, senza che da qualche parte nel globo accada qualcosa di straordinario destinato a essere ricordato nei libri di storia. Eppure, ammetto che il Boss democristiano non l’avevo messo in conto. Quel tizio è la quintessenza del rock. Nella sua carriera ha cantato di auto leggendarie, dalla Chevy Bel Air gialla di “Born to run” alla Ford Thunderbird bianca di “I’m on fire”. Quel signore era il cantore delle gare clandestine sulle strade perdute del New Jersey. Quando più di vent’anni fa acquistai da Saxophone il vinile di “Darkness on the edge of town”, dietro il bancone l'indimenticabile Fabio, con quel suo sorriso sornione che era il suo marchio di fabbrica, me lo imbustò avvertendomi che quello era un inno al riscatto di chi non ha più nulla da perdere e che avrei fatto un viaggio nelle periferie estreme tra polvere e sudore, non una passeggiata in centro storico in doppiopetto e pochette. Vederlo ora marciare su una Jeep come le mamme che portano a scuola i figli fa un certo effetto, appena temperato e corretto dalla notizia dell’arresto per guida in stato di ebrezza che ha indotto a ritirare lo spot dalle tv americane. Ma è intorno al messaggio che non smetto di arrovellarmi. Dunque Bruce Springsteen come Mario Draghi? In medio stat virtus? Mi sta dicendo che la via d’uscita sta in mezzo, come il Pierferdinando Casini nella versione di Neri Marcorè invitava a unirsi tutti al libidinoso “grande centro”? Una volta si diceva che si parte incendiari e si finisce pompieri. La tentazione sarebbe allora di arrendersi all’evidenza dell’inesorabile destino che ci attende: se accade persino a Bruce Springsteen, moriremo tutti democristiani. Poi però dico: ehi, fermi tutti, forse il problema non è lui che si è messo al centro, ma siamo noi che siamo finiti ai lati. Il tempo che stiamo attraversando è così estremo che il baricentro dei valori si è spostato, è schizzato a destra, a sinistra, in alto e in basso, in questa maionese impazzita un baricentro non c’è più. Ormai ci siamo abituati ad accettare che la caccia al consenso passi attraverso massaggi alla pancia più che alla testa degli elettori, attraverso parole d’ordine che vellicano gli istinti più bassi. Forse davvero siamo messi così male che, per quanto assurdo, paradossale, surreale possa suonare, l’invito a ritrovare la via del centro, a credere nella libertà, a ricercare l’unità è diventato un manifesto rivoluzionario. Rock. Quando Hegel avvista da lontano il passaggio di Napoleone con le sue truppe nella piazza di Jena, corre ad annotare sul suo diario: «Ho visto lo spirito del mondo seduto a cavallo». Se a ottobre mi avessero chiesto chi meglio di tutti rappresentasse lo spirito di questo tempo feroce avrei risposto Trump. E sarebbe stata la risposta sbagliata. Perché da Biden a Draghi, passando per il Boss, con la complicità della pandemia e dell’urgenza di affidarsi a scienza e competenza, lo spirito del tempo non ha più i capelli tinti e cotonati in acrobatiche acconciature che sfidano la forza di gravità, ma grigi e corti, non scalda più la folla per dare l’assalto al congresso, ma sussurra pacati inviti a seguire la strada che porta al centro. Forse è solo una parentesi, chissà, ma questo è lo spettacolo a cui stiamo assistendo in questo esatto momento da Washington a Roma. Lo spirito del tempo ha il volto segnato di un uomo di 72 anni a bordo di una vecchia Jeep lungo una strada che porta al centro. Quell’uomo di lavoro fa il rocker e lo chiamano il Boss. Come avrebbe detto Lucio Dalla, in questo mondo senza bussola, l’impresa eccezionale è essere normale.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

 

 

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