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La spunta blu

Benvenuti nell'era delle varianti

Una scena dal film "Dune"
Una scena dal film "Dune"
Una scena dal film "Dune"
Una scena dal film "Dune"

«Ma non c'è niente che sia per sempre,  perciò se è da un po’ che stai così male, il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire» (Afterhours)
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Quando ero ragazzo io c’era un luogo comune, per i maschi: l’insopportabile prospettiva di sprecare un anno della propria giovinezza con la naja. Non tutti, ovvio, ma molti la vedevano così: una perdita di tempo, un buco nero nella propria esistenza, una parentesi impantanata in uno stagno di regole, obblighi e divieti spesso assurdi, irrazionali, ottusi, incomprensibili. La pandemia sta per compiere due anni. E continua a condizionare ogni nostra singola azione. Una parentesi di due anni, almeno. La variante Omicron (chissà cosa dobbiamo aspettarci dalla Omega...) promette di spostare ancora una volta l’orizzonte di una storia che non conosce fine. Da quarantacinquenne sento tutto il peso di questi due anni. Ma due anni su 45 sono il 4 per cento di una vita. Due anni su 13 o su 11, come l’età delle mie figlie, oscillano tra il 15 e il 18 per cento. Due anni così da ragazzo hanno un peso specifico cento volte superiore a due anni così da adulto. Non ho mai creduto che sia un tempo sprecato o perduto, ma è un tempo diverso. Perché non può non essere diversa questa giovinezza attraversata con il freno a mano, con la mascherina, il gel per le mani, le autocertificazioni per nuotare o correre, le gite a chilometro zero, senza feste di Natale o di fine anno, senza viaggiare, senza girare il mondo, senza poter guardare dritto davanti a sé inseguendo le linee curve del futuro a perdita d’occhio. Senza vita non c’è libertà, lo abbiamo capito più o meno tutti, ma senza libertà è una mezza vita. Il continuo richiamo alla responsabilità e al rispetto delle regole fa apparire l’adolescenza come una caserma, come una lunga naja. «Più controlli sulla movida», titolano i giornali dopo il varo del super-maxi-mega-galattico green pass, perché questo in effetti è stato detto dal governo, mettendo in croce ancora una volta l’idea stessa di svago, di tempo libero, di divertimento. Il covid ci ha schiacciato su due dimensioni: la casa e il lavoro, la casa e la scuola, come se la vita privata fosse cristallizzata dentro le quattro mura domestiche, mentre la vita pubblica fosse una faccenda di pura produzione. Per molti ragazzi questi due anni hanno accelerato il salto nell’età della maturità. Per qualcuno hanno portato legna al fuoco della rabbia e della disobbedienza, legna messa ad ardere nelle risse, nelle aggressioni nei parchi, nelle curve degli stadi.
A me sembra che questo tempo sia una palestra che ci sta allenando tutti, ma soprattutto i ragazzi, a una nuova percezione della realtà: una realtà in continuo movimento. Dal lavoro alla salute, dall’istruzione al divertimento, dai diritti ai doveri, dai divieti alle libertà: nulla sembra più fermo e immobile, granitico come le certezze novecentesche. Questo è un tempo fluido, in cui vince non chi ha l’idea migliore, ma chi riesce ad adattare le sue idee al “momento”. E il momento può durare poco, molto poco, anche mesi o settimane: eravamo abituati a misurare carriere, progetti e missioni in anni se non decenni. Ma soprattutto eravamo settati per risolvere un problema alla volta. La pandemia ci dice che non è così. E che forse non sarà più così. Temo che chi, come me, ha trascorso il 95% della sua vita nell’epoca precedente, avrà sempre il fiatone per mettersi in pari con questa nuova epoca, e sarà sempre in qualche modo a disagio, come chi suda e sbuffa in una stanza in cui tutti gli altri sono rilassati e asciutti. Ma chi, come i ragazzi, dentro la pandemia stanno passando un quinto della loro esistenza, uscirà dal tunnel allenato all’idea che nulla è per sempre; che siamo fragili, tutt'altro che invincibili; che l'infinitamente piccolo, come un virus, può mettere in ginocchio l'infinitamente grande, come una megalopoli durante il lockdown;  che tutto può durare poco, ma può anche tornare, in forme diverse. Varianti, come le chiamiamo oggi. Saranno allenati alle varianti. E il loro allenamento sarà una rivincita per essere stati trascurati, lasciati in fondo alla fila, sospettati persino di non capire o non adeguarsi. Quando avremo bisogno di menti allenate a fronteggiare le varianti dell'esistenza, saranno i ragazzi allenati dalla pandemia a darci le soluzioni.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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