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La spunta blu

Aiuto, è sparita la fila al luna park

Una scena del film "La teoria del tutto"
Una scena del film "La teoria del tutto"
Una scena del film "La teoria del tutto"
Una scena del film "La teoria del tutto"

L'introspezione è un'attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro (Zygmunt Bauman, “Intervista sull'identità”)

Stavamo aspettando da qualche minuto l'apparizione del codice. Eravamo seduti sul ciglio di un'aiuola all'ombra di un baracchino dei popcorn. Il sole si era messo a picchiare dopo aver girato senza fretta dietro nuvole di passaggio. Nell'aria odore di dolci fritti, lo sferragliare di giostre su binari contorti in spirali vertiginose e lo sciabattare di una famiglia tedesca. Stavamo aspettando quel codice da un'ora. Sessanta minuti. Nel frattempo avevamo camminato con molta lentezza, eravamo andati in bagno attendendo senza ansia il nostro turno, avevamo mangiato i nostri panini con la frittata a piccoli bocconi, masticando con scrupolo e bevendo grandi quantità d'acqua. E avevamo controllato il telefono un milione di volte. Per vedere l'ora. E per vedere a che punto stava la fila. Mi correggo: l'attesa. Sì, andare in un parco divertimenti in era covid ha smaterializzato le file e le ha trasformate in attese. Eh no, non è la stessa cosa. Le file, quelle di una volta, erano fatte di corpi, tanto corpi, uno accanto all'altro, uno dietro l'altro, in un respirarsi sul collo, uno sbuffare, un sudare, un tossire, un'insopprimibile esigenza di stare vicini, perché i corpi questo fanno: si attraggono. Le file erano carne, ossa, materia. Ora si sono smaterializzate e sono diventate attese. Dal reale al virtuale, anche qui. Non ci si mette più in fila per salire in giostra, ma con la giostra si prende appuntamento. Come con il treno: ci si presenta a una certa ora al binario, giusto con un po' di anticipo, e si sale a bordo. L'attesa è spirituale, è pura teoria, un'idea indefinita come il tempo che passa. La fila è azione, l'attesa è pensiero. Quando avevamo deciso, con le mie figlie, di andare al luna park, perché non ci andavamo da un po', da due anni, più o meno, e due anni sono un'infinità se di anni ne hai undici, questa cosa delle attese al posto delle file mi era sembrata una gran cosa. E lo è, in effetti: sgonfia gli assembramenti come palloncini punti da uno spillo. Non stiamo più appiccicati in grappoli umani, ma siamo disseminati per tutto il parco: prima stavamo ore in piedi, avanzando di pochi centimetri, e per farcela passare parlavamo con gli amici o i vicini di fila; adesso stiamo seduti e fissiamo lo schermo di un telefono aspettando il nostro turno. Ogni singolo istante della giornata è governato da una app, attraverso la quale si prenota il giro in giostra, si sbircia la durata dell'attesa e si viene convocati con l'emissione di un codice da esibire all'ingresso di ogni attrazione. La app serve anche per ordinare un gelato o acquistare una bottiglietta d'acqua. Così si finisce per stare sempre con il telefono in mano, il pollice che si agita su e giù, la schiena ingobbita, la testa inclinata e lo sguardo in basso. E già che il telefono è in mano, acceso, vuoi non darla un'occhiata ai messaggi, alle email alle notizie, al medagliere delle olimpiadi? E Facebook? E Instagram? E Twitter? Non è solo il luna park, ovvio. La pandemia ha accelerato la pendenza di un piano già molto inclinato: dal menù virtuale dei ristoranti al codice per l'ombrellone in spiaggia, la necessità di restare connessi ha invaso anche i nostri momenti detox, il tempo per disintossicarci, per stare con noi stessi e i nostri pensieri. Il tempo dell'introspezione. Non voglio demonizzare la tecnologia, ci vivo e ci lavoro pure io. Però il confine tra opportunità e obbligo anche per le azioni e i bisogni più elementari si sta facendo sempre più sottile. Il tempo libero fuori casa sempre più spesso non può fare a meno dello smartphone: speriamo almeno che la batteria duri. Dopo la selezione naturale, un Darwin degli anni Duemila probabilmente studierebbe la selezione tecnologica per la sopravvivenza della specie. E non potrebbe non notare quello che è capitato a me di notare quando, seduto sul ciglio di un'aiuola all'ombra di un baracchino dei popcorn, ho alzato lo sguardo e ho visto alcune decine di esseri umani ingessati tutti nella medesima postura: un braccio piegato, il palmo della mano rivolto verso l'alto, il pollice agitato su e giù, la schiena ingobbita, la testa inclinata, lo sguardo in basso, verso lo schermo dello smartphone, in attesa di un codice per salire su una giostra.

gianmarco.mancassola@ilgiornaledivicenza.it

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