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Le cedole ricche che spingono ancora i titoli tradizionali

Il punto è: dopo aver guadagnato il 30 per cento ha senso tenere ancora le azioni e puntare a performance ancora più generose? Come potete leggere nell’Analisi qui a fianco, buona norma vuole che il risparmiatore monetizzi almeno parte di queste plusvalenze che, fino a quando non saranno trasformate in moneta sonante, restano sulla carta.
D’accordo, vendiamo, guadagniamo e, prima di pentirci dopo aver visto gli stessi titoli raggiungere nuovi picchi («Vendi, guadagna e pentiti» è una delle leggi più ricordate e meno seguite tra gli investitori piccoli e grandi), ci chiediamo: dove reinvestiamo il frutto di cotanta sapienza (o fortuna) finanziaria? Prima di farci questa domanda, plausibile, bisognerebbe fare un confronto con quello che passa il convento adesso. Ragionando a spanne e confrontando mele con pere, il Btp decennale oggi rende meno del 4 per cento lordo, ergo, se noi vendessimo i nostri titoli azionari rivalutati del 30 per cento grazie alla performance super del 2023 e reinvestissimo il totale in titoli di stato, ci vorrebbero quasi 8 anni per essere certi di portare a casa il medesimo rendimento. Quindi, se non vendiamo solo perché non sappiamo come reinvestire, con questi ritorni possiamo permetterci il lusso di aspettare un po’ prima di decidere. Magari fino al primo storno di Borsa, se mai ci sarà, o alla prima occasione obbligazionaria legata a possibili rialzi dei tassi (al momento, pare, remota).
Detto, quindi, che di fronte a forti plusvalenze si può tranquillamente decidere di vendere per godersi i profitti (i veri problemi insorgono quando al posto dei profitti tocca fare i conti con le perdite), bisogna comunque fare una grande distinzione tra i tipi di titoli azionari che si sono rivalutati. In particolare, bisogna fare un ragionamento diverso a seconda se si tratti di società che distribuiscono alti dividendi oppure no. Per fare un esempio pratico, giusto per capirsi, i titoli tecnologici del Nasdaq sono quelli che negli ultimi anni hanno registrato rialzi da favola, in doppia e spesso in tripla cifra, senza però che le società sottostanti abbiano deciso di distribuire utili significativi: il valore sta tutto nel potenziale di crescita eccezionale, per dire, di quei titoli che oggi sono già leader nel settore dell’intelligenza artificiale. Di contro ci sono titoli più tradizionali, per esempio nel settore finanziario o delle utilities, che tradizionalmente distribuiscono cedole elevate e che quindi diventano molto attrattivi per i piccoli risparmiatori.
La Borsa italiana è quella che, in materia di rendimenti da dividendo, è la più generosa in Europa. Ecco perché, nonostante le plusvalenze già maturate, si può valutare di mantenere in portafoglio quei titoli che, sulla base delle deliberazioni già adottate in assemblea o su alcune fondate anticipazioni, offrono cedole estremamente appetibili. Intesa Sanpaolo, per citare quella in cima alla classifica tra le blue chip, a questi prezzi e a questi dividendi, al momento garantisce un rendimento da dividendo vicino al 9 per cento. Ma anche Mediobanca (7,5%), Unipol (7%), Poste Italiane (6,5%), Stellantis (6,3%), Banca Mediolanum (6,3%) ed Enel (6,2%) non sono da buttare. Non è detto che fra 2 anni sarà la stessa musica, ma prima di vendere questi titoli è meglio pensarci due volte.

Marino Smiderle

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