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La riscossa delle banche che "cavalcano" i tassi

L’aumento dei tassi d’interesse fa paura a molti. Alle famiglie, per cominciare, che si trovano a pagare rate più alte nel caso, molto frequente, abbiano sottoscritto un mutuo a tasso variabile. E alle imprese, che quando vanno a chiedere un prestito si accorgono che il denaro adesso costa parecchio e questo diventa un ostacolo per gli investimenti e, quindi, per la ripresa economica in genere. Le uniche a far festa, sobriamente e senza ostentarlo, sono le banche.
Gli istituti di credito vengono da anni di magra, magrissima. Prima il crac del settore, ereditato dalla crisi finanziaria negli Stati Uniti che ha portato prima al default di Lehman e poi, a cascata, la svalutazione atomica di tutte le banche del mondo. Per dire, da tempo immemorabile sono quotate a un valore inferiore a quello patrimoniale, segno inequivocabile di pessime prospettive reddituali. I tassi d’interesse negativi hanno fatto il resto: una banca guadagna prestando soldi, se per fare questo prende zero, il margine d’intermediazione va su per il camino, ergo, il valore della società crolla. Da quando le banche centrali hanno iniziato a pompare verso l’alto i tassi di riferimento, con l’obiettivo di domare un’inflazione che rischiava di scappare di mano, i bilanci degli istituti di credito hanno iniziato a gonfiarsi di utili. Al punto che adesso sono tornati ad essere molto interessanti per gli investitori, piccoli o grandi. 
Prendiamo i due principali istituti del Paese, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Nel 2022, un esercizio che ha recepito solo nel finale i rialzi più consistenti dei tassi, hanno percepito interessi netti per 10 miliardi circa a testa, con un aumento del 20 per cento rispetto all’esercizio precedente. Questo ha permesso ai due amministratori delegati, Carlo Messina e Andrea Orcel, di garantire agli azionisti una cospicua distribuzione di dividendi, superiore ai 10 miliardi di euro nel suo complesso. È vero che molti prevedono una discesa dei tassi nella parte finale del 2023, ma le banche centrali sono reduce da un ulteriore stretta monetaria con ulteriori aumenti del costo del denaro dello 0,5 per cento. E in più i dividendi promessi saranno distribuiti tra maggio e novembre. Insomma, se da un lato il risparmiatore è punito dall’aumento considerevole della rata del mutuo (l’euribor a tre mesi adesso è attorno al 2,5 per cento, un anno fa viaggiava in territorio negativo), dall’altro può valutare un investimento in titoli bancari per partecipare alla spartizione della torta fatta di cedole significative. Detto che si tratta di titoli azionari a rischio, il cui valore può andare nelle montagne russe, l’allontanamento delle ombre della recessione sembra offrire altri margini di crescita a un comparto che da 15 anni soffre maledettamente.
Gran parte degli analisti sono convinti che il settore bancario sia destinato a correre ancora: lo spettro della recessione sembra allontanato, o perlomeno alleggerito, e se l’economia riprende a galoppare a questi tassi i bilanci delle banche ne traggono giovamento. Resta però l’incognita delle banche centrali, che sono i regolatori del comparto. Al momento gli istituti sono ben capitalizzati ma le richieste della Bce saranno sempre più stringenti, e qualcuno paventa una limitazione sulla distribuzione dei dividendi. Ma il treno sembra partito. 

Marino Smiderle

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