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I venti di guerra soffiano incertezza su tutti i mercati

L’ha spiegato bene Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan: «Questo potrebbe essere il periodo più pericoloso che il mondo abbia visto negli ultimi decenni». Lui è al comando di una delle banche più grandi e importanti al mondo, con una capitalizzazione di circa 430 miliardi di dollari, che sta macinando ottimi risultati, con un ultimo trimestre da record e oltre le attese degli analisti. Il fatto che il ceo di questa multinazionale avverta adesso che il rischio geopolitico sia diventato «il rischio più significativo per la crescita, per lo sviluppo e per la prosperità comune», induce gli investitori a drizzare le antenne.
Il mondo sta ancora uscendo, faticosamente, da una tragica pandemia che, oltre ad avere causato sette milioni di morti, ha indotto le banche centrali e i singoli stati ad attuare politiche, monetarie e di bilancio, molto espansive. Gonfiando a tal punto il debito da ottenere, come effetto collaterale al rientro da questa emergenza, l’esplosione dell’inflazione e un rialzo generalizzato dei tassi d’interesse. Nel momento in cui si stavano mettendo a terra, come si dice, le strategie per guidare la crescita economica, ecco che in tutto il mondo sembra scivolare in quella che Papa Francesco, senza tanti giri di parole, ha definito «una terza guerra mondiale combattuta a pezzi». L’era della globalizzazione, che ha portato a ridurre la povertà in tutto il mondo ma che ha anche accresciuto le disuguaglianze, ora sembra stoppata dalle bombe che piovono in tante, troppe aree del pianeta. Il Medio Oriente in fiamme, aggiunto alla devastazione in Ucraina, senza dimenticare il Nagorno Karabach da cui gli armeni sono stati cacciati dell’offensiva dell’esercito dell’Azerbaigian: tutte guerre di cui è difficile prevedere gli sviluppi ma che sicuramente creeranno ancora più tensioni all’economia e rendono problematico investire.
I mercati sono affetti da un cinismo cronico. Al punto che a volte le bombe producono anche prospettive positive per l’economia, nell’ottica di una futura ricostruzione che potrebbe rimpolpare i conti delle aziende interessate. Cinismo allo stato puro, come si diceva, ma che nel caso attuale rischia di trasformarsi in calcolo negativo. Sì, perché se è vero che nei giorni immediatamente successivi alla missione assassina di Hamas nei kibbutz israeliani ai confini con la Striscia di Gaza le Borse non hanno fatto un plissè e, anzi, hanno guadagnato qualcosina, è anche vero che adesso la complicata risposta militare di Tel Aviv potrebbe provocare l’effetto opposto e scaricare tensioni sui mercati. Anche perché non si può escludere a priori che questo conflitto nell’area più infuocata del pianeta, dove peraltro si trovano fondamentali giacimenti petroliferi, possa estendersi e scatenare davvero un inferno di proporzioni difficilmente immaginabili. 
Per questo chi si trova a dover scegliere su quali strumenti finanziari investire, adesso dovrebbe moltiplicare la prudenza. Negli ultimi mesi il comparto obbligazionario ha registrato un generalizzato aumento dei tassi d’interesse che ha indotto molti a optare per questa sorta di rifugio sicuro e finalmente redditizio. Ma questi venti di guerra potrebbero spingere ancora più in alto i tassi e scatenare tempeste nei listini. 

 

Marino Smiderle

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