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Dimmi dove mangi il Big Mac e ti dirò se conviene comprare o vendere dollari

Ditemi dove state mangiando un Big Mac e vi dirò se state facendo un affare. Non per la vostra salute, ovviamente, perché se vi rimpinzate da McDonald's tutti i giorni qualche problemino con la bilancia prima o poi sarete destinati ad affrontarlo, ma per il vostro portafogli. In questo momento, per dire, la città dove conviene ordinare il doppio hamburger è Beirut, in Libano. La città invece dove, sempre se riusciste a trovarlo, vi farebbero pagare di più in assoluto il super-panino è Caracas. Sono i risultati dell'ultima rilevazione del Big Mac Index, un indicatore inventato dall'Economist 35 anni fa e diventato una specie di bussola valutaria. Lo scopo di questo indice non è quello di scegliere il Paese più conveniente dove andare a sorbire l'hamburgerone, quanto piuttosto scoprire quali monete siano sopravvalutate o sottovalutate in giro per il mondo. Ed eventualmente decidere di investirvi di conseguenza.

L'idea originaria l'ha messa per iscritto un economista svedese, Gustav Cassel, negli anni 20. La prima guerra mondiale era finita da poco, Big Mac e McDonald's avrebbero colonizzato le abitudini alimentari molti anni dopo, ma il concetto di parità di potere d'acquisto sgorgò come un ruscello dall'immaginario del membro fondatore della Swedish School of Economics. Il concetto di base è intuitivo: il tasso di cambio tra due valute dovrebbe tendere naturalmente a trovare un equilbrio in modo che un paniere di beni abbia lo stesso costo in entrambe le valute. Parecchi decenni dopo The Economist ha messo al posto del paniere di beni previsto da Cassel proprio il Big Mac, presente in tutto il mondo grazie al successo planetario della catena McDonald's, e ha confrontato il rapporto dei prezzi che usciva dall'incrocio delle diverse valute e dei diversi Paesi. L'assunto stabilisce che il cambio corretto dovrebbe risultare proprio dal rapporto dei prezzi dei Big Mac: confrontandolo poi con il reale cambio registrato dai mercati in quel momento si può dedurre se una moneta è sopravvalutata o sottovalutata.

Facciamo un esempio per capirci. Se in Italia per divorare un Big Mac bisogna spendere 4,50 euro e se negli Stati Uniti il listino indica invece 5,70 dollari, il cambio euro/dollaro corretto sarebbe, secondo la legge della parità del potere d'acquisto, pari a 1,27 circa: cioè un euro è pari a 1,27 dollari. Il cambio attuale con cui le valute sono scambiate sul mercato è di 1,18 e quindi, sempre secondo la legge che potremmo definire dei vasi comunicanti monetari, l'euro risulterebbe sottovalutato rispetto al dollaro perché al cambio ufficiale basterebbero 5,31 dollari per comprare un Big Mac nel Vecchio Continente, vale a dire quasi il 7 per cento in meno rispetto al cambio effettivo.

L'ultima rivelazione dell'Economist registra solo tre Paesi in cui al momento il Big Mac costa di più rispetto agli Stati Uniti: Venezuela (8,35 dollari), Svizzera (7,04 dollari) e Norvegia (6,30 dollari). In tutto il resto del mondo, invece, il Big Mac è più a buon mercato. In Libano, per citare il fanalino di coda, dove contano i cambi al mercato nero (che sono poi quelli effettivi), bastano 1,68 dollari per un hamburger. Ma anche in Cina, India, Sudafrica e Turchia si spende circa la metà rispetto a New York. Quanto basta per dedurre che per pareggiare la situazione il dollaro dovrebbe scendere in rapporto alla stragrande maggioranza delle valute mondiali. Per non saper né leggere né scrivere, comunque, meglio optare per un piatto di spaghetti al pomodoro: il guadagno, in tutti i sensi, è assicurato.

Marino Smiderle

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