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Odio, illegalità e "bolle" social. L'Europa mette le regole ai giganti del web

Washington, 6 gennaio 2021. L'assalto al Campidoglio per impedire la proclamazione del presidente Biden
Washington, 6 gennaio 2021. L'assalto al Campidoglio per impedire la proclamazione del presidente Biden
Washington, 6 gennaio 2021. L'assalto al Campidoglio per impedire la proclamazione del presidente Biden
Washington, 6 gennaio 2021. L'assalto al Campidoglio per impedire la proclamazione del presidente Biden

Washington, 6 gennaio 2021. Un’orda di fanatici pro-Trump assalta il Campidoglio, cuore reale e simbolico della democrazia americana, per impedire la proclamazione del neoeletto presidente Joe Biden. Ciò che nasce in internet e sui social network spesso si traduce nella realtà concreta: quella rivolta era nata proprio sul web, dal tam tam nelle piattaforme digitali che avevano ospitato per mesi e mesi tesi complottiste e fake news. Quella giornata passata alla Storia è soltanto la punta dell’iceberg di un tema vasto, complesso, globale, che non ha confini statuali: chi è responsabile della diffusione di contenuti d’odio, disinformazione, illegalità sulle piattaforme? È giusto regolare questi contenuti? In che modo? In ultima istanza: come mettere dei paletti - che non siano censura - per impedire a uno strumento di potenziale emancipazione civile - i social sono veicolo della libertà di espressione - di divorare dall’interno, come un cancro, il cuore delle democrazie? Domande che si sono posti in molti, ma solo in un luogo si è passati ad un tentativo di risposta concreta: nell’Unione europea. Ha una portata storica e rivoluzionaria il Digital Services Act (Dsa), il regolamento europeo sulla responsabilità delle piattaforme digitali per i contenuti online, una norma che vale per tutti i 27 Stati europei, approvata nell’aprile del 2022, ma la cui applicazione è iniziata solo adesso: per la precisione, il 25 agosto scorso.

Il regolamento europeo

Intorno ad aprile 2022, l’Unione europea si è dotata di un autentico arsenale legislativo per contrastare il potere deresponsabilizzato dei giganti del web. Nell’arco di un mese sono stati adottati due regolamenti: il Digital Markets Act, per fornire un quadro competitivo alle piattaforme; e il Digital Services Act, per creare un internet più sicuro e “pulito”, obbligando i servizi online a essere più trasparenti e responsabili per quanto riguarda i contenuti e i prodotti che distribuiscono. La norma, che ora si inizia ad applicare, riguarda sia i social network che i siti di commercio elettronico. Uno dei mali della rete è l’invasione di prodotti contraffatti o difettosi o pericolosi: il Dsa obbliga le piattaforme a rimuovere «tempestivamente» qualsiasi contenuto illegale - in base alle leggi statali ed europee - e obbliga i siti di e-commerce a verificare l’identità dei loro fornitori. I social network, invece, dovranno sospendere gli utenti che violano «frequentemente» la legge, diffondendo contenuti d’odio o fake news.

I colossi digitali non più “irresponsabili”

Il Dsa riguarda in particolare i colossi del settore con più di 45 milioni di utenti attivi. Tutti i “big” che vi vengono in mente sono coinvolti, da Google a Apple, da Meta (Facebook, Instagram) a Twitter (ribattezzato “X”) e TikTok fino a Microsoft, passando anche da Amazon, Booking, Zalando e altri. L’Europa, con questo regolamento, si è tenuta alla larga dalla trappola di ergersi a poliziotto onnipresente nel web, cosa che non potrebbe materialmente fare e che rischierebbe di trasformarsi in possibile censusa. Ha però messo in capo ai giganti digitali l’obbligo di rispettare e far rispettare le regole varate da Bruxelles, pena pesanti sanzioni. La Commissione europea può applicare multe fino al 6 per cento delle loro vendite online in caso di violazioni ripetute, fino all’esclusione dal mercato europeo. Algoritmi e trasparenza Gli attori digitali dovranno valutare di propria iniziativa i rischi legati all’uso dei loro servizi, dotarsi di mezzi adeguati per rimuovere i contenuti problematici e rendicontare periodicamente. Il principio di fondo è questo: tutto ciò che è illegale nella vita reale lo è anche nel mondo digitale. Non solo: il Dsa impone ai colossi digitali una maggiore trasparenza sui loro dati e sul funzionamento dei loro algoritmi. E qui sta il cuore “tecnico” del regolamento. Sono infatti gli algoritmi a regolare il modo in cui vengono selezionati e diffusi i contenuti. Ogni volta che accediamo a un social network, vediamo contenuti che ci vengono proposti perché hanno avuto un certo “successo” e altri che sono il frutto della personalizzazione del nostro profilo. Per effetto del Dsa non si tolgono libertà ma se ne aggiungono: le piattaforme dovranno consentire all’utente di scegliere se vedere i contenuti in ordine cronologico, e non soltanto con il meccanismo dell’algoritmo che seleziona contenuti “adatti” all’utente in base ai gusti, creando le “bolle”, cioè mondi chiusi che forniscono solo una visione parziale di alcuni argomenti, disinformazione compresa.

La “terza via” tra far west e censura social

L’applicazione della norma è solo all’inizio, ma il passo mosso dall’Unione appare potenzialmente rivoluzionario. La dimensione europea, in queste macro-questioni, rivela tutta la sua utilità. In fondo l’Ue ritiene che, tra l’internet ingabbiato e censurato dei regimi autoritari (Cina, Russia ecc.) e il far west del “liberi tutti” cresciuto in America (una concezione radicale della libertà di pensiero che finisce talvolta col consentire la compressione - tra campagne d’odio e violenze - delle libertà altrui) ci possa essere una terza via, e prova a percorrerla. La maggior parte delle piattaforme pare intenzionata a stare al gioco delle nuove regole, ed è un segnale incoraggiante. Certo, cercheranno anche di spingersi ai limiti delle regole e di misurare la capacità sanzionatoria dell’Ue, anche per non dover cambiare troppo i loro modelli di business e i loro ricavi. I primi mesi di applicazione saranno quindi decisivi per valutare l’efficacia del regolamento.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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