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Migranti, la realtà distorta nella guerra delle mezze verità. Un fact checking

A Lampedusa il 66% del totale degli sbarchi in Italia
A Lampedusa il 66% del totale degli sbarchi in Italia
A Lampedusa il 66% del totale degli sbarchi in Italia
A Lampedusa il 66% del totale degli sbarchi in Italia

Quel che è certo è che l’immigrazione è il carburante della campagna elettorale per le elezioni europee, già iniziata con nove mesi d’anticipo. In Italia e non solo. Per il resto, e proprio per ragioni di consenso, sui flussi migratori, sui loro numeri, le regole e le azioni politiche possibili circolano un mare di imprecisioni, omissioni o falsità che finiscono col deformare la realtà dei fatti agli occhi dell’opinione pubblica. Avviene in Italia, in un 2023 in cui gli sbarchi hanno ripreso quota, ma anche negli altri Paesi europei, perché quella delle “mezze verità” è una battaglia quotidiana tra governi europei e tra partiti dentro gli Stati membri. Un fact checking su alcune affermazioni di politici con ruoli diversi, italiani e non, può aiutare a rischiarare alcune delle zone d’ombra o illuminate di una luce distorta.

Matteo Salvini

«L’Italia è l’unico Paese europeo che sta vivendo un’immigrazione con queste dimensioni».

Il ministro dei Trasporti esagera. L’Italia, affacciata sul Mediterraneo, è uno dei Paesi europei di primo approdo, i quali, secondo il regolamento di Dublino, devono farsi carico della registrazione degli arrivi e dell’esame delle richieste di asilo di chi giunge sul suolo dell’Unione. In questa fase è molto esposta agli sbarchi, molto evidenti. Ma le rotte migratorie non sono solo quelle marittime. Tra le altre, è molto battuta quella balcanica. Per numero di richieste di asilo ricevute, l’Italia non è la prima in Europa, ma viene dopo Germania, Spagna e Francia (lo scorso anno anche dopo l’Austria). Lo certificano i dati di Eurostat: come si evince dal grafico qui riportato, nell’ultimo confronto disponibile aggiornato a inizio luglio 2023, da settembre 2022 le richieste di asilo sono state 97.605 in Italia, meno di quelle formulate in Francia (142.610), in Spagna (129.505) e soprattutto in Germania (272.305). Anche stimando l’impennata di sbarchi degli ultimi due mesi, l’Italia resta dietro a quei Paesi. Nel 2023, se si rapporta il numero di richieste d’asilo alla popolazione residente, l’Italia scivola al quattordicesimo posto, con una richiesta d’asilo ogni 947 abitanti. Ne riceve il doppio la Germania, con una ogni 447 abitanti; poi la Spagna, ogni 483, e la Francia, ogni 729. Davanti all’Italia altri dieci Paesi più piccoli: Cipro, una richiesta ogni 161 abitanti, Austria (394), Estonia (458), Lussemburgo (548), Slovenia (562), Grecia (619), Belgio (640), Paesi Bassi (783), Bulgaria (841) e Irlanda (938). Dati da tenere presente almeno per inquadrare le politiche dei governi del centro-nord Europa rispetto alla vigilanza alle frontiere con l’Italia.

Giorgia Meloni

«La pressione migratoria che l’Italia subisce da inizio anno è insostenibile».

La presidente del consiglio esagera. L’Italia sta vivendo una forte pressione e le località più esposte, Lampedusa su tutte, stanno soffrendo un sovraccarico di arrivi rispetto agli spazi di primissima accoglienza esistenti. Lì la pressione migratoria può essere definita insostenibile. Quella complessiva del Paese in questi primi otto mesi e mezzo del 2023 è simile a quella degli anni del picco, il 2016 in particolare: allora, da gennaio a fine agosto erano giunti 115.068 immigrati; quest’anno 114.526 nello stesso periodo. D’altra parte, i numeri complessivi degli immigrati in accoglienza sul territorio nazionale sono alti e sono in crescita, ma non sono ai livelli record degli anni passati. Al 31 agosto scorso, ultimo dato disponibile dal ministero dell’Interno, erano 136.632, di cui 34.761 in Sai (Sistema accoglienza integrazione), cioè nel sistema non emergenziale, e 99.849 in centri di accoglienza straordinaria (Cas), piccoli o grandi che siano. Nel triennio 2016-18 i migranti censiti nel sistema di accoglienza erano ben di più: al 31 dicembre 2017 (quando già il picco degli sbarchi era crollato dopo il decreto Minniti, governo Gentiloni) erano 183.681, quasi 50 mila più di oggi: +34%. Il 31 agosto 2018 (quando al Viminale c’era Salvini, governo Conte I) erano ancora 155.619: +14% rispetto a oggi.

Elly Schlein

«Dal governo politiche disumane, hanno reso più difficile salvare le vite in mare».

La segretaria del Partito democratico è parziale. Se disumane sono le politiche del governo attuale - e il giudizio è soggettivo - un aggettivo analogo dovrebbe applicarlo anche a quelle del governo Gentiloni e dell’allora ministro Marco Minniti che istituì i Cpr, centri per il rimpatrio, e siglò un memorandum con la Libia per il rimpatrio forzato di migranti intercettati in mare, in base al quale 82 mila persone, secondo Amnesty International, sarebbero state riportate sul suolo libico, laddove il rispetto dei diritti umani è tutt’altro che rispettato. Schlein, invero, ha criticato in passato quel memorandum e le politiche di Minniti, ma tuttora il suo partito è spaccato al suo interno tra favorevoli e contrari. Giorgia Meloni: «Schlein non si è resa conto che, con redistribuzioni automatiche, l’Italia dovrebbe farsi carico di più migranti» La dichiarazione estesa di Meloni era questa: «Schlein probabilmente non si è resa conto che i Paesi dell’est Europa accolgono milioni di rifugiati ucraini e pertanto, se dovesse passare un meccanismo automatico e aritmetico di redistribuzione, l’Italia si ritroverebbe a doversi far carico di molti più richiedenti asilo di quanti non ne abbia attualmente. Non saremmo noi a ricollocare migranti all’est, ma i Paesi di Visegrad a ricollocare rifugiati nell’Europa occidentale». Qui la premier dice la verità: avendo un rapporto migranti-abitanti inferiore alla media europea, l’Italia dovrebbe ricevere “esuberi” altrui. La cosa buffa è che questa verità, oltre che una risposta all’avversaria Schlein, è una stroncatura indiretta della retorica sui ricollocamenti che il suo stesso partito, FdI, e gli alleati, Lega e FI, avevano più volte intonato.

Luca Zaia

«Se l’Austria blocca le frontiere si sospende Schengen e l’Europa non c’è più»

Il presidente del Veneto fotografa una faccia della medaglia. Che l’Austria, o la Francia, mettano in discussione la mobilità interstatuale in seno all’Ue per arginare i flussi migratori è un’abdicazione al trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone. Che sia un puro atto di egoismo è invece una questione discussa. Quei Paesi la vedono all’opposto e tutto ruota attorno ai numeri (visti all’inizio) delle richieste di asilo per singolo Paese e in rapporto alla popolazione residente, e al fenomeno dei cosiddetti “movimenti secondari” dei migranti. L’attuale impianto normativo fondato sul regolamento di Dublino ha prodotto una prassi nascosta e non chiaramente misurabile di movimenti secondari, cioè di migranti che sbarcano in Italia ma non vengono registrati qui, e varcano la frontiera del Brennero o di Ventimiglia raggiungendo i Paesi d’oltralpe. Da questi Stati arriva la critica all’Italia di non fare abbastanza per arginare le fughe, anzi, di agevolarle con atteggiamento inerte. Per l’Italia è una sorta di “difesa” - fosse anche involontaria - rispetto al meccanismo di Dublino che la espone molto; per gli altri Paesi è invece un aggiramento di quelle responsabilità giuridiche ed è una delle ragioni per cui, ad esempio, qualche governo ha sospeso l’applicazione dell’accordo politico sui ricollocamenti.

Fuoco amico nei governi

Nella guerra ibrida delle mezze verità, accade anche che qualcuno rimanga colpito dal “fuoco amico”. In Francia, ad esempio, il presidente Emmanuel Macron non ha fatto in tempo a dichiarare una disponibilità del suo Paese a farsi carico di parte del peso degli sbarchi attuali a Lampedusa che il ministro dell’Interno francese Darmanin lo ha smentito: «La Francia non può accogliere, vanno rimandati indietro». Succede anche in Italia. Il 13 settembre, dopo gli sbarchi di 6 mila persone in 24 ore, il ministro Salvini parlava di «atto di guerra» e di «una regia» contro l’Italia, invocando indagini dei servizi segreti. Meno di una settimana dopo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in una intervista al Corriere della Sera lo ha smentito: «Non c’è un complotto contro l’Italia». Piantedosi è stato poi ancora più esplicito, riferito a Salvini e ai presunti complotti anti-italiani: «Lui da leader politico può dirlo, io da ministro dell’Interno devo avere prove concrete». Ecco perché capirci qualcosa, sulle migrazioni, con le sole parole dei politici è una missione impossibile. Perché i fatti sono maledettamente più articolati degli slogan. E a volte proprio inconciliabili.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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