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Ma così non li "aiutiamo a casa loro". I proclami traditi dei politici

Aiuto pubblico allo sviluppo nei Paesi membri dell'Ue
Aiuto pubblico allo sviluppo nei Paesi membri dell'Ue
Aiuto pubblico allo sviluppo nei Paesi membri dell'Ue
Aiuto pubblico allo sviluppo nei Paesi membri dell'Ue

Nel bel mezzo di ogni discussione politica sull’immigrazione, c’è un ritornello ormai noto che gli esponenti dei partiti - più di destra che di sinistra, ma sostanzialmente tutti - intonano puntualmente: «Bisogna aiutarli a casa loro». “Loro” sono gli immigrati che arrivano via mare o via terra; “casa” è il Paese di origine, spesso nei continenti africano ed asiatico; “aiutarli” significa favorire le condizioni di permanenza di queste persone nello loro terre d’origine. Uno degli strumenti principali per farlo si chiama aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), ma è uno strumento tuttora sottofinanziato.

Il ruolo dell’Ue

La politica di sviluppo è al centro delle politiche esterne dell’Unione europea ed è fondata su una serie di basi giuridiche, prima tra tutte l’articolo 21 del Trattato sull’Ue. È una “materia concorrente” con gli Stati membri (cioè agiscono sia gli Stati in autonomia che l’Ue per la sua parte), mira a ridurre la povertà ed è fondamentale per la risposta dell’Ue all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo includono la promozione della crescita sostenibile, la difesa dei diritti umani e della democrazia, il conseguimento dell’uguaglianza di genere, la promozione della pace e di società inclusive e la gestione delle sfide ambientali e climatiche. Anche perché sono proprio queste le condizioni che permettono alle persone che vivono nei Paesi meno sviluppati di poter costruire un futuro in patria, senza essere costretti o indotti a trovare una soluzione alle loro esistenze emigrando all’estero. Va detto che l’Unione europea è il principale donatore mondiale in materia di aiuti allo sviluppo, con oltre 84 miliardi di euro stanziati complessivamente dai suoi Stati membri nel 2022, ultimo dato consolidato. Eppure, in media, questi non hanno ancora raggiunto livelli di stanziamenti economici sufficienti a garantire il rispetto degli impegni che loro stessi si sono dati negli ultimi anni.

L’Italia e l’aiuto allo sviluppo

Nel 2022, i Paesi Ue sono arrivati a destinare all’aiuto allo sviluppo lo 0,59% del prodotto interno lordo, al di sotto dell’obiettivo dello 0,7% fissato nel 2015 e da raggiungere entro il 2030. La media è il frutto di stanziamenti già oggi superiori allo 0,7% da parte di alcuni Stati (Lussemburgo, Svezia e Germania) e di altri che sono inferiori a quella soglia. Ben al di sotto dell’asticella si colloca anche l’Italia, con un dato che era pari allo 0,32% del Pil (fonte rapporto AidWatch di Concord Europe, che riunisce 2.600 Ong di 28 Paesi diversi). Dopo una crescita culminata nel 2017, quando per la prima volta l’Aps in rapporto al Pil ha toccato quota 0,30%, gli anni successivi hanno visto un crollo delle risorse italiane nel settore, ricorda una ricerca di Openpolis. Questa dinamica si è però interrotta nel 2021 e la crescita è proseguita anche l’anno successivo portando l’Aps al record dello 0,32% rispetto al Pil. Ora, nella legge di bilancio triennale che il governo Meloni sta stilando (2024-26), sono previsti 6,5 miliardi di euro destinati alla cooperazione allo sviluppo nel 2024 (in crescita rispetto ai 5,6 del 2022 e ai 6,2 del 2023), ma sono poi indicati in calo già nel 2025, a quota 5,9 miliardi. Per “pesare” le risorse destinate alla cooperazione, oltre ai volumi complessivi bisogna considerare la loro ripartizione, ricordano i ricercatori di Openpolis. Tra 2023 e 2024 sono due i ministeri in cui calano le risorse: il ministero degli esteri e della cooperazione internazionale; e il ministero dell’economia e delle finanze. Quello che più conta è la Farnesina, «la struttura che finanzia la parte più viva e diretta della cooperazione allo sviluppo». E qui c’è un taglio di 62,5 milioni di euro.

L’aiuto “gonfiato”

Non solo. Se si scandagliano i dati dell’aiuto allo sviluppo, come ha fatto AidWatch, emerge che nel 2022 oltre un quinto di quelle somme (22%) era “gonfiato”, ovvero non raggiungeva le comunità per cui è destinata la cooperazione internazionale: si tratta per lo più di risorse destinate alla gestione interna dell’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri dell’Ue, ma che rientrano nella contabilità degli aiuti allo sviluppo. Ma qual è la voce che fa crescere le risorse complessivamente destinate nel 2024 all’Aps? È quella del ministero delle infrastrutture ed è legata principalmente a un elemento: gli investimenti stabiliti dal Trattato di amicizia italo-libico del 2008, che prevede un aumento degli stanziamenti dai 63 milioni nel 2023 ai 452 nel 2024. Si tratta quindi di un esborso una tantum, non strutturale né indicativo di una tendenza all’aumento degli aiuti allo sviluppo, che rimane un’“illusione ottica”. Se pende quindi la domanda “li aiutiamo davvero a casa loro?”, la risposta oggi non può essere affermativa: incerto e insufficiente è il contributo economico che viene destinato alla cooperazione allo sviluppo, ancora lontano non solo dagli obiettivi fissati dagli Stati europei, ma soprattutto da quella retorica vuota di una politica che predica bene ma razzola un po’ meno bene.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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