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Intervista a Marco Mascia

"L'Europa rischia tra guerra ed egoismi. L'Unione politica? Ostacolata dai partiti"

di Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it
Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali all'Università di Padova
Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali all'Università di Padova
Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali all'Università di Padova
Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali all'Università di Padova

Professor Marco Mascia, docente di relazioni internazionali all’Università di Padova, cattedra europea Jean Monnet, come esce l’Unione europea dalla legislatura che arriva al capolinea?

Questi 5 anni hanno rivolto all’Unione europea una serie di domande e stimolato una serie di iniziative legislative che non sono andate però nella direzione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. La governance europea non ha saputo affrontare le crisi - il Covid, quella economico-sociale, quella della pace e climatica - mettendo al centro la persona umana.

Quanto vale l’attenuante di aver trovato delle montagne da scalare, impensabili alla vigilia, dalla pandemia alla guerra in Ucraina?

È stata una fase nuova, certo, ma la leadership politica ha perso la bussola, se per bussola si intende la ragione per cui l’Ue è nata: costruire un ordine europeo di pace e inclusione. Penso a due temi: il primo è proprio la guerra, scatenata dall’invasione della Russia in Ucraina, ma rispetto alla quale l’Europa ha rinunciato a porsi come soggetto della diplomazia; ha investito risorse finanziarie e politiche nella guerra e non nella pace. Ora gli Usa allentano il loro sostegno all’Ucraina e l’Europa si trova col cerino in mano. Il secondo tema è il Patto migrazione e asilo, i cui contenuti vanno a ledere i diritti umani.

Chi difende il Patto parla di compromesso per governare l’accoglienza e garantire la sicurezza, tema su cui soffiano i movimenti antieuropei.

Non è una giustificazione, anche perché comunque i partiti delle destre hanno votato contro al Patto. La maggioranza composta da Popolari, Socialisti e Liberali poteva e doveva trovare una posizione che garantisse il rispetto dei diritti fondamentali. Non si può con una mano invocarli e con l’altra continuare a far morire gente nel Mediterraneo e lungo la rotta balcanica.

Un giudizio severo. Che scenario vede per i prossimi anni?

Il primo scenario possibile è che nella prossima legislatura si confermi la maggioranza attuale: Ppe-Socialisti-Liberali. Sarebbe il mantenimento dello status quo, a partire dall’approccio alla guerra in Ucraina. Sabato però, con la dichiarazione di Berlino, i Socialisti hanno messo un paletto rilevante, dicendo che non coopereranno mai con l’estrema destra. Ma qui si apre il secondo scenario possibile: una maggioranza diversa dall’attuale.

Spostata a destra.

Se i Conservatori (Ecr), gruppo di Giorgia Meloni, dovessero guadagnare molti seggi potrebbe nascere una maggioranza tra Ppe, Ecr e i liberali di Renew. Parte di Ppe e di Renew sono contrarie, oggi, ma dopo il voto tutto può accadere. Una maggioranza così metterebbe fine a ogni ipotesi d’integrazione in senso più federalista. Entrambi gli scenari, in ogni caso, non mi pare possano aprire a un salto verso un’Europa più politica. Questo mi preoccupa.

Mario Draghi, incaricato di redigere un rapporto sul futuro della competitività europea, ha indicato i pilastri del «cambio radicale» dell’Ue: energia, difesa integrata e tecnologie. Non è l’indizio di un “salto”?

Con queste anticipazioni, Draghi ci dice che la sua visione è federalista, verso un’Europa politica. Ma è anche vero che queste sono parole. Mi spiego: Macron dice da tempo che serve un esercito europeo, ma perché non lo fa? Il Trattato di Lisbona già consente a un gruppo di Stati membri di mettersi insieme per fare più cose insieme, e l’esercito comune potrebbe essere tra queste.

Perché nessuno prende il pallino dell’integrazione?

Abbiamo partiti politici nazionali che impediscono uno sviluppo politico dell’Unione. La domanda che si è posta più volte è questa: chi è il “federatore reale” dell’Ue? La moneta unica non lo è stato. La risposta è che potrebbero esserlo solo i partiti. Ma questi vivono una dimensione tutta nazionale. Chi seleziona i candidati al Parlamento europeo? I partiti nazionali. Chi sono i membri della Commissione? Quelli indicati dai partiti nazionali. Chi forma il Consiglio Ue? I ministri, esponenti dei partiti nazionali. E il Consiglio europeo è composto dai capi di governo, cioè i leader dei partiti nazionali. Se il Consiglio europeo lo volesse, l’esercito europeo nascerebbe domattina...

Quindi nessun partito vuole l’evoluzione dell’Europa?

Le leadership politiche non hanno una visione di cambiamento, anche perché temono di togliere parte dell’attuale potere ai partiti nazionali.

L’Europa è destinata a rimanere un’incompiuta?

Dipende da cosa chiede la società civile. Il 18 maggio a Verona ci sarà “Arena di pace”, con Papa Francesco che lancerà un messaggio fortissimo su pace, inclusione e solidarietà. Quanto terrà conto di questo la prossima legislatura? Si ridurrà o allargherà la distanza tra istituzioni e cittadini? Una cosa è certa: l’Europa economica - euro, Bce e mercato unico - l’abbiamo fatta con i grandi gruppi di interesse economici, e va bene così; ma l’Europa politica si fa solo con i cittadini. Ma non come la “Conferenza sul futuro dell’Europa”, che è stata una presa in giro, depotenziata da subito e controllata dai governi.

Come se ne esce?

Io non credo che la riforma dei Trattati si farà, anche perché, se nel momento della ratifica alcuni Stati la bocciassero, sarebbe una mazzata fatale all’integrazione. Penso però che con il Trattato di Lisbona, così come si può fare l’esercito comune si possono anche aumentare le materie in cui si decide a maggioranza qualificata anziché all’unanimità. Può nascere un’Europa “a geometria variabile”, con alcuni Stati che si integrano tra loro più di altri, come accade con l’euro, moneta di molti ma non di tutti. Io dico: teniamoci stretti gli strumenti che abbiamo, ma usiamoli fino in fondo.

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