<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Imballaggi, duello finale. "Le imprese italiane rischiano grosso"

Renato Zelcher, è nel consiglio di Confindustria Vicenza e nazionale
Renato Zelcher, è nel consiglio di Confindustria Vicenza e nazionale
Renato Zelcher, è nel consiglio di Confindustria Vicenza e nazionale
Renato Zelcher, è nel consiglio di Confindustria Vicenza e nazionale

È il “duello” finale. Tre protagonisti, tre “pistole” cariche, ciascuna con eguale potenza di fuoco. Non c’è la musica di Morricone in sottofondo e le rivoltelle sono soltanto una metafora. Ma le riunioni dei “triloghi”, che si sono aperte a Bruxelles nei giorni scorsi e che proseguiranno fino al massimo a marzo, sono un autentico duello - politico - tra posizioni molto diverse su uno dei dossier più rilevanti che sta trattando l’Unione europea: il regolamento sugli imballaggi. I tre “pistoleri” sono la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo, cioè le tre istituzioni dal cui negoziato uscirà il compromesso sul testo finale. In realtà il piano è inclinato, perché le prime due istituzioni hanno posizioni più simili tra loro. Due “pistoleri” contro uno. E non è una buona notizia per l’Italia, perché sono posizioni che penalizzano la sua filiera produttiva imperniata sul riciclo dei materiali, a vantaggio del riuso, gradito al Nord Europa. «C’è troppa ideologia - avverte Renato Zelcher, amministratore delegato di Crocco, di Cornedo Vicentino, past president e tuttora membro dell’Eupc, l’Associazione europea dei trasformatori delle materie plastiche - Condividiamo gli obiettivi di ridurre i rifiuti da imballaggi, ma non l’approccio ideologico che ha caratterizzato questo regolamento fin dal testo iniziale della Commissione».

Il dossier imballaggi nato due anni fa

Un passo indietro. Nell’autunno del 2022 Bruxelles ha sfornato la proposta di regolamento con l’obiettivo di ridurre i rifiuti da imballaggi. Ad essere interessata, potenzialmente, è tutta l’economia, visto che quasi tutte le merci, per girare ed essere commercializzate, necessitano di qualche forma di imballaggio: che siano le buste per l’insalata o le bottiglie per il vino, che siano i film di plastica per avvolgere i prodotti o il cartone per le scatole o la gomma per ammortizzare i colpi nelle confezioni di prodotti fragili. La Commissione ha voluto imporre una stretta, per ragioni di sostenibilità ambientale, indicando non solo gli obiettivi ma anche privilegiando una via per raggiungerli: il riuso. Ed è nell’imporre questo modello che la norma in gestazione va a colpire la filiera italiana che, invece, è da 25 anni imperniata sul riciclo dei materiali, con ottimi risultati peraltro.

Un percorso accidentati in Europa

Che il dossier sia spinoso lo testimonia l’iter normativo accidentato: in commissione Ambiente al Parlamento europeo c’è stata una pioggia di emendamenti come poche se ne sono viste nella storia europea; il testo è poi approdato in assemblea plenaria dove sono arrivate altre centinaia di proposte di modifica. Qui i parlamentari, grazie anche a un fronte bipartisan degli italiani, hanno introdotto modifiche che hanno l’obiettivo, e l’effetto, di tutelare il modello italiano: la modifica centrale è quella che prevede che i materiali per cui si supera l’85% della quota riciclata saranno esentati dalle norme sul riuso. Oltre a questo, è stata introdotta l’esclusione del settore del vino dal questa normativa. In sede di Consiglio, i governi hanno invece affrontato la questione da un altro punto di vista, meno favorevole alle istanze italiane. Alla fine il governo Meloni ha votato contro alla posizione del Consiglio, rimanendo però isolato.

«Troppe criticità per il modello del riciclo»

«C’è stato un passo avanti all’Europarlamento e due indietro nel Consiglio», inquadra con una certa preoccupazione Renato Zelcher, che è anche membro del consiglio generale di Confindustria e di Confindustria Vicenza. «Ci sono alcuni settori, come quello della plastica, che sono maggiormente coinvolti, ma ricordiamoci che tutte le aziende, in qualche modo, sono toccate dalla normativa, perché tutte imballano per consegnare le merci. Quello che mi preoccupa è che tante piccole o piccolissime imprese non sanno quale macigno rischia di piovergli addosso». Zelcher, esperto di produzione normativa europea, sa che «una parola in più o una in meno nel testo finale della norma possono mettere fuori gioco o riabilitare un intero settore economico».

No all’iper regolamentazione

«Il governo italiano e i parlamentari europei si sono mossi nella direzione corretta - aggiunge - ma è difficile scalfire un regolamento nato da una impronta che giudico ideologica: fino a ieri l’industria italiana era invidiata nel mondo per la sua capacità di arrivare al riciclo dei rifiuti, anche da imballaggi, e oggi ci dicono che è meglio il riuso, mettendo a rischio un’intera filiera». Oggi l’Italia «è il secondo Paese dopo la Germania per trasformazione delle materie plastiche e il primo in Europa per riciclo di rifiuti da imballaggio. Siamo un esempio. Ciò che trovo illogico è voler imporre non solo gli obiettivi ambientali - e qui siamo d’accordo - ma anche il metodo per raggiungerli. Qui viene ignorato il principio della neutralità tecnologica». Da membro dell’Eupc, Zelcher contesta non solo «l’approccio ideologico della Commissione, ma anche l’iper regolamentazione». Tra l’altro, aggiunge, «non ci sono studi che provano che il riuso sia necessariamente più sostenibile del riciclo: oggi, con 200 grammi di film, io imballo una paletta da una tonnellata; ma se eliminiamo la plastica, con la carta o altri materiali da imballaggio avremo un peso 5 volte superiore e questo porta a maggiori consumi energetici e maggiore inquinamento rispetto a una plastica riciclabile».

L’ultimo atto

Ora tutto si gioca nei triloghi finali. «Vedremo quale sarà il compromesso - conclude Zelcher - sempre che si arrivi a una soluzione: speriamo che il peso “verde” della norma sia smussato a favore della sostenibilità delle imprese e dei 100 mila posti di lavoro collegati. Già oggi c’è grande incertezza e questo blocca gli investimenti di molte imprese, con un danno economico già presente». In teoria, siccome “non è finita finché non è finita”, resta sempre possibile che - senza un accordo tra istituzioni - la norma non arrivi in porto.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

Suggerimenti