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Il traduttore fuggito da Odessa che lavorò con Sordi. «Putin farà la guerra mondiale»

Oleksandr Ievdokymov, traduttore di origini russe, profugo ucraino
Oleksandr Ievdokymov, traduttore di origini russe, profugo ucraino
Oleksandr Ievdokymov, traduttore di origini russe, profugo ucraino
Oleksandr Ievdokymov, traduttore di origini russe, profugo ucraino

Oleksandr Ievdokymov è di origine russa. Madrelingua russo. Però è nato in Azerbaigian. Per anni ha vissuto a Krasnodar, in Russia, ma sua madre lo chiamava Sandro, diminutivo comune in Georgia. Oggi però lui è un cittadino ucraino, rifugiato a Valdagno, nel Vicentino. Nella sua pelle è racchiuso quel mondo dell’est fatto di popoli, nazioni e lingue non sempre coincidenti con la parola Stato e talvolta sfociato in “fratricidio”. Ne sanno qualcosa gli ucraini su cui da due anni piovono le bombe di Putin, di quella Russia che ritiene l’Ucraina “roba sua”, anche se è indipendente da 34 anni. Oleskandr, classe 1957, vedovo, padre e nonno, di mestiere è traduttore ed è accolto all’ex hotel Pasubio, nella città della lana. Conosce sei lingue: benissimo il russo, l’inglese, il tedesco e l’italiano, ma parla anche l’ucraino e un po’ il turco. «Quello del traduttore è il mio lavoro, anzi, lo era: ora con l’intelligenza artificiale non lavoro più».

Oleksandr, quando è arrivato a Valdagno?

Sono fuggito da Odessa dopo i primi bombardamenti, due anni fa. Non sapevo se, quando e come sarei potuto tornare a casa. Ma la mia vita, prima, mi aveva portato in tanti altri posti diversi.

Ce la vuole raccontare?

Sono di origine russa, come molti cittadini ucraini. Mi sono trovato in Ucraina quando l’Unione sovietica si è dissolta, nel 1991. Però sono nato a Baku, in Azerbaigian. I miei nonni si erano trasferiti là negli anni di Stalin, a innescare il processo di industrializzazione. Così là è nato mio padre e sono nato anch’io.

Quando ha lasciato Baku?

Negli anni Sessanta. Iniziava il nazionalismo nelle repubbliche sovietiche e i miei avevano capito che, da russi, non potevano ambire a certe posizioni sociali. Siamo emigrati: Krasnodar, Russia.

Che legami ha con la Russia?

In Russia c’è la maggior parte dei miei compagni di scuola e di università. Ci sono le tombe dei miei genitori. E ho tanti amici. C’era anche mio figlio, prima che si trasferisse in Germania nel 2008.

Perché se n’è andato?

Lavorava per un’azienda informatica, si occupava anche di aiutare a calcolare i risultati elettorali: ha visto con i suoi occhi come facevano i russi a truccare l’esito del voto. Allora mi ha detto: questo non è il Paese dove voglio vivere. E con la moglie è partito per la Germania. Là è nato anche il mio nipotino.

L’ha sorpresa la sua scelta?

No. I brogli sono una costante in Russia. Ricordo che da giovane smisi di votare: ero al college, arrivarono gli uomini dello Stato per costringermi ad andare ai seggi, ma c’erano tanti studenti intorno e la storia finì lì. Volevano si raggiungesse la cifra imposta, il 99%, sennò rischiavano il posto. Oggi è uguale, solo che la cifra è più bassa.

E lei, “Sandro”, come è diventato cittadino ucraino?

Per amore. Ho sposato un’ucraina nel 1988.

Era ancora Urss...

Sì, per poco. Ho partecipato, e votato sì, al grande referendum per l’indipendenza, ho vissuto metà della mia vita in Ucraina, a Odessa. Poi, 8 anni fa, ho perso mia moglie in un incidente stradale.

Cosa pensa della Russia?

Penso che tutto finirà in una guerra mondiale. Perché Putin lo conosco bene, la sua Russia è uno stato poliziesco: tutto è chiuso, tutte le opinioni diverse da quella ufficiale vengono non solo soppresse, ma condannate.

O finiscono come Navalny...

Navalny è la figura nota, ma Putin ha paura di qualsiasi oppositore. Ho un fratello a Mosca che sopportava Putin almeno fino all’annessione della Crimea. Poi però ha capito il grosso sbaglio che avevano fatto tutti i russi, lasciando fare al boia, al criminale. Il mito della “grande Russia” è destinato a fare danni al mondo.

E se Putin cadesse?

Impossibile. Anche se lo uccidessero, ci sarebbe un altro della cerchia a sostituirlo. È una banda che ha intrecci con la mafia e controlla le imprese petrolifere e quelle edilizie: hanno tutto il potere.

L’Ucraina ha qualcosa da rimproverarsi?

Forse il fatto di non aver agito con prudenza, tenendo conto che la Russia non è uno Stato normale. Alcune scelte, come imporre la lingua ucraina che può anche essere giusto, sono state viste come provocazioni.

Come vede il futuro?

Nero. Perché nella Russia di Putin la legge non vale niente. Per loro sono carta straccia anche gli accordi del 1994 in base ai quali l’Ucraina cedette le armi nucleari in cambio della sua integrità. In Russia è “giusto” solo ciò che interessa a chi comanda.

E il suo futuro personale?

Facevo il traduttore, l’ultimo progetto, a gennaio, è stata una traduzione dall’inglese al tedesco per una ditta italiana. Ma ora con l’intelligenza artificiale è il buio completo.

Però ha grandi competenze linguistiche, conosce la vita e l’italiano lo sa benissimo.

Dice? Grazie. Ho avuto la fortuna di lavorare con gli italiani, anche con Alberto Sordi.

Il grande Sordi?

Sì, era il 1994 e venne a Odessa per il festival del cinema. Sono stato fortunato ad essere scelto per lavorare con lui.

Qui in Italia ha svolto altri lavori?

Oltre ai progetti di traduzione, ho lavorato per una cooperativa a Schio in un progetto di accoglienza, ma poi il lavoro è finito. Ora temo di dover tornare nel mio Paese.

Come sta oggi la sua Odessa?

L’altra notte hanno bombardato: un morto, tre feriti... Mantengo contatti con gli amici che sono là, quelli degli scacchi e della pallavolo...

Gioca a pallavolo?

Sì, e ho trovato il modo di farlo anche qui: andiamo a giocare a Zermeghedo... Vorrei restare, ma tutto dipende da una cosa: trovare un lavoro.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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