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Europa "minima", la voce incerta dei 27 Stati sulla guerra di Gaza

Gaza, la ricerca di sopravvissuti dopo i bombardamenti di Israele
Gaza, la ricerca di sopravvissuti dopo i bombardamenti di Israele
Gaza, la ricerca di sopravvissuti dopo i bombardamenti di Israele
Gaza, la ricerca di sopravvissuti dopo i bombardamenti di Israele

Sostegno a Israele, ma non incondizionato. Condanna ferma dell’attacco terroristico di Hamas che ha causato 1400 morti, perlopiù civili israeliani, ma raccomandazione a Tel Aviv di rispettare, nella sua risposta, il diritto internazionale e il dritto internazionale umanitario: perché anche a Gaza ci sono milioni di civili da tutelare. È questa, in estrema sintesi, la posizione dell’Unione europea di fronte alla tragica crisi mediorientale. Una voce che si è alzata il 17 ottobre, al termine del Consiglio europeo che ha riunito in videoconferenza i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri. Una voce giunta a 10 giorni di distanza dall’orrore perpetrato da Hamas che ha scatenato la nuova fase armata dello strisciante conflitto israelo-palestinese. E in quei 10 giorni, a dire la verità, l’Europa non aveva saputo parlare con voce chiara e unita. Tutt’altro. I vertici delle principali istituzioni continentali avevano pronunciato parole non concordate e a tratti contraddittorie.

L'Europa stonata

Nei giorni scorsi Israele aveva lanciato un ordine di evacuazione da Gaza dando 24 ore di tempo ai palestinesi per liberare la Striscia prima di un attacco. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva sostenuto quell’ordine, ma Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, ha definito «sicuramente irrealistica» l’idea che «un milione di persone possa spostarsi in 24 ore», schierandosi sulle posizioni del segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Nel frattempo Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, aveva dichiarato che «l’unico responsabile per quello che sta accadendo è Hamas», mentre Oliver Varhely, commissario all'Allargamento, aveva annunciato la sospensione di «tutti i pagamenti» dei fondi Ue destinati al sostengo umanitario ai palestinesi. Parole, queste, fuorvianti, perché la Commissione ha poi chiarito che Varhely aveva parlato di propria iniziativa e che i fondi umanitari sarebbero proseguiti, mentre si svolgerà una «revisione urgente» dell’assistenza allo sviluppo stata stanziata ma non ancora erogata. Insomma, un bel caos.

La posizione comune dell'Europa

Così fino al Consiglio europeo del 17 ottobre, che ha definito una posizione comune. Come anticipato, si tratta di un sostegno non incondizionato a Israele: solidarietà verso lo Stato ebraico attaccato barbaramente da Hamas, riconoscimento del diritto alla difesa ma raccomandazione a reagire nel rispetto del diritto internazionale umanitario: il riferimento è al blocco di Gaza e alle vittime civili che sta provocando. Una sottolineatura importante, per correggere l’impressione di ipocrisia di una Europa dei due pesi e due misure, che piange i civili massacrati da Hamas, ma non quelli morti a Gaza per l’assedio israeliano. Questo chiarimento, ha sottolineato Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, serve anche a impegnare i Paesi vicini (Egitto, Giordania, Libano) nell’azione umanitaria per salvare i civili di Gaza e fermare una pericolosissima escalation.

Gli Stati gelosi della loro sovranità

Il conflitto mediorientale ha rimesso sotto i riflettori l’incapacità dell’Europa di avere una voce certa e pronta in politica estera. E non c’è da sorprendersi, perché la politica estera - e di difesa - è una materia che i 27 Stati membri hanno finora gelosamente custodito, conferendo all’Unione europea una quota non sufficiente di sovranità per poterle dare il profilo di potenza politica internazionale. In base ai Trattati, il sistema istituzionale rimane frammentato, in questo settore, con attori dai poteri incompiuti e incompleti, come l’Alto rappresentante, e un governo - la Commissione - che non ha né poteri né mandato (come il Parlamento europeo, che si è espresso con una risoluzione non vincolante) se non c’è il consenso degli Stati membri. Il rischio di assistere alla cacofonia politica (dei 10 giorni citati) è connaturato a questa incompiutezza. Dieci giorni in cui si è sentito di tutto mentre nello scacchiere mediorientale accadeva di tutto, tragicamente e rapidamente. Alla fine la posizione dell’Ue non poteva che esprimerla il Consiglio europeo, cioè gli Stati membri, con tutte le difficoltà a tenere unite 27 teste diverse. Modalità e tempi di reazione dell’Unione europea sullo scacchiere internazionale sembrano sempre più inadatte alle sfide di un mondo destabilizzato e a-polare. Un’“Europa minima” non può bastare.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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