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Legge elettorale, quel vizietto italiano di cambiarla prima del voto

di Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

La legge elettorale è quella particolare norma che trasforma i voti in seggi. Tutti i paesi democratici hanno una legge elettorale ma in nessuna democrazia evoluta la legge elettorale cambia tante volte quanto in Italia (il che pone qualche interrogativo sul grado di evoluzione democratica del Paese). Per dire: la Germania nel secondo dopoguerra non ha mai cambiato sistema elettorale e ormai sono passati tre quarti secolo. L’Italia invece ha rivoltato il suo sistema elettorale una mezza dozzina di volte negli ultimi 30 anni. Dopo la stabilità della prima Repubblica imperniata sul proporzionale, è stata una girandola di discipline diverse. I nomi delle leggi elettorali italiane hanno quel che di pop - Mattarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum - che fa molto “tormentone estivo”: sarà per questo che la loro stagione dura spesso lo spazio di un’elezione o due.

Il vizietto della vigilia delle elezioni

Ma se la frequenza con cui il Paese cambia le sue leggi elettorali - e qui abbiamo visto solo quelle per le elezioni politiche - è proverbiale, la vera firma italiana sta nel momento in cui le leggi elettorali vengono cambiate: sistematicamente alla vigilia delle elezioni. Lo capisce anche un bambino che questo modo di giocare con le regole è un gioco opaco, se non sporco, di una furbizia meschina e maneggiona. In un caso, vigilia delle elezioni 2006, il padre di quella riforma elettorale (l’allora ministro Calderoli, leghista) fu talmente sincero da autodenunciarsi in tv per la "porcata" commessa, utile a sfavorire gli avversari politici, ma lo fece col sorriso sulle labbra come il bimbo - appunto - beccato con le mani nella marmellata. Perché poi il bello è che spesso (ma non in quel caso) questo è l’unico frangente in cui maggioranze e opposizioni depongono le armi e si uniscono in un balletto di dichiarazioni di mutua assistenza per giustificare la manovra in nome dei più alti valori nazionali e democratici. Con la stessa nonchalance e veemenza difendono tutto (alla vigilia di questa elezione) e il contrario di tutto (alla vigilia della prossima).

L'illusione e lo spirito di casta

Qualche anno fa questa prassi aveva contribuito a consolidare negli italiani il sospetto che quella politica fosse opera di casta e loro - gli italiani - si erano illusi di poterla scalzare. Oggi, misurata la distanza tra illusioni e realtà, gli italiani hanno ri-abbassato la guardia e la politica si rimette lesta a farsi casta per provare a cambiare la legge elettorale. Stavolta è quella per le elezioni europee, a meno di 9 mesi dalla loro convocazione. E così si scopre l’ennesimo inciucio (ah, anche questa parola desueta degli anni Dieci, cioè dell’altro ieri) destra-sinistra (o pezzi) che rinnova il giochetto dei furbi. E la questione non è di merito - abbassare da 4 a 3 per cento la soglia di sbarramento - anche perché ci sono stati che ce l’hanno al 5, come le repubbliche baltiche, o non ce l’hanno proprio, come i Paesi Bassi o la Germania. Il punto è che manca la serietà: la politica ha giocato in passato, gioca ora e probabilmente ri-giocherà prima delle Regionali 2025, magari allungando il limite ai mandati dei governatori (e in Veneto si naviga a vista proprio su questa variabile). Ecco, a fronte della serietà dei cugini europei, i nostri politici meriterebbero una soglia di sbarramento del 90 per cento: cioè ne salveremmo 1 su 10 di quelli che menano le danze, se le danze sono sempre queste.

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