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L'Unione europea incompiuta, in politica estera rimane zoppa

Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola verso il rifugio per l'allarme a Tel Aviv
Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola verso il rifugio per l'allarme a Tel Aviv
Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola verso il rifugio per l'allarme a Tel Aviv
Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola verso il rifugio per l'allarme a Tel Aviv

Come una condanna senza tempo dell’incompiutezza europea, mentre il Medio Oriente brucia tra gli orrori di Hamas e la risposta militare di Israele, torna a risuonare la frase che Henry Kissinger pronunciò mezzo secolo fa: «L’Europa? Qual è il suo numero di telefono?». Lo disse alludendo alle divisioni e all’impalpabilità politica del Vecchio Continente. Mezzo secolo è passato da allora e, a dire la verità, l’Europa non è più quella che conobbe l’ex segretario di stato Usa.

I passi avanti dell'Unione europea

L'Europa è cresciuta, si è consolidata, negli ultimi 30 anni è diventata quello che all’epoca non era (ancora): un soggetto politico. L’Unione c’è, e la pandemia lo ha dimostrato, sia nella protezione sanitaria dei cittadini europei (e del mondo, esportando vaccini) sia nell’ora, questa, della ripartenza, con un piano, il Next Generation EU che in Italia prende le forme del Pnrr, che ha iniettato nei Paesi europei le risorse per risollevarsi. Lo ha dimostrato anche la guerra in Ucraina, alla quale l’Unione ha risposto con una compattezza sulla quale nessuno, per primo Putin, avrebbe scommesso un centesimo. Sono segnali concreti di presenza, e di presenza con peso politico crescente. Eppure...

La politica estera incompiuta

Eppure la Storia che in queste ore insanguina il Medio Oriente rivela un’Unione ancora incompiuta e la chiama a un ulteriore passo avanti. Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola i sono recate ieri nel kibbutz di Kfar Aza, teatro di uno degli eccidi più brutali da parte di Hamas. I volti di due delle tre istituzioni fondanti dell’Unione - Commissione e Parlamento europeo - hanno così dichiarato la posizione dell’Europa al cospetto di quanto è accaduto negli ultimi giorni: una vicinanza, anche fisica, a Israele, vittima di un efferato piano terroristico senza precedenti. Al pari di quanto espresso dalla Nato, la condanna degli orrori di Hamas è stata inequivocabile. Un po’ meno netto è stato invece l’appello dell’Europa a Israele, anche se c’è stato: l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Borrell, ha esortato Tel Aviv affinché la sua risposta militare avvenga «nel rispetto del diritto internazionale» e dei diritti umani, un confine che verrebbe travolto da un assedio totale che mettesse i civili di Gaza sotto il fuoco delle bombe privandoli dell’acqua. Stesso concetto che Von der Leyen aveva espresso a proposito delle azioni militari russe contro l’Ucraina, ma che non ha (per ora) ripetuto nella crisi attuale. E così la voce europea finisce con l’apparire balbettante. Il diplomatico francese ed ex segretario generale del Servizio europeo d’azione esterna (Eeas), Pierre Vimont, ha dichiarato che la diplomazia europea «negli ultimi anni sta progressivamente scomparendo dalla geopolitica della regione» mediorientale.

Il freno degli Stati membri

Del resto, e più in generale, è la politica estera (e di difesa) dell’Unione a rivelarsi ancora zoppa. Bene in Ucraina, male in Medio Oriente. E questo è il risultato - totalmente prevedibile, e logico - della mancata volontà degli Stati membri di costruire un’azione internazionale europea degna di una potenza politica. Prevalgono gli interessi nazionali. Ancora una volta, i limiti dell’Europa sono lì: dove non c’è abbastanza Europa.

Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it

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