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Indagati e incompatibili: la deriva italiana delle liste-bluff per le Europee

di Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it
L'8 e il 9 giugno si vota per rinnovare il Parlamento europeo
L'8 e il 9 giugno si vota per rinnovare il Parlamento europeo
L'8 e il 9 giugno si vota per rinnovare il Parlamento europeo
L'8 e il 9 giugno si vota per rinnovare il Parlamento europeo

Ora è ufficiale, le liste per le elezioni europee lo provano oltre ogni ragionevole dubbio: i partiti italiani considerano gli elettori degli imbecilli, come da vocabolario. E fin qui pazienza, magari siamo noi che abbiamo dato modo di crederlo. Il problema è che ciò avviene a danno del Paese. Una sfilza di candidati incompatibili, una dose di indagati e una serie di “figurine” che se hanno dei meriti non sono quelli di essere i profili ideali per rappresentare con competenza l’Italia in Europa: le liste italiane sono un unicum nel continente, in negativo. Nessun altro dei 27 Paesi membri ha nelle liste i leader di partito, che di mestiere fanno i leader, guidano i governi o le opposizioni nei loro parlamenti. In Italia invece i leader - quasi tutti - guidano il governo o le opposizioni ma non avvertono il minimo imbarazzo nel correre alle Europee pur sapendo che a Bruxelles non ci andranno mai, rimanendo sulle poltrone attuali. Così c’è Giorgia Meloni che invita a votare “Giorgia”, il primo nome che certissimamente non andrà al Parlamento europeo perché incompatibile con la carica di premier. Stessa incompatibilità per altri leader, parlamentari o ministri, da Elly Schlein del Pd ad Antonio Tajani di Forza Italia, che si candidano ma non sono orientati a traslocare in Europa. In lista anche a Carlo Calenda di Azione, che ha cambiato idea all’ultimo; e dopo di lui l’ha cambiata pure Matteo Renzi che però ha detto che - se eletto con Stati Uniti d’Europa - a Bruxelles ci andrà davvero. Dagli incompatibili alle “figurine”: quelli che non hanno alcuna competenza specifica ma sono nomi di richiamo, dal generale Vannacci nella Lega - che però in Veneto è in fondo alla lista, un “compromesso” (?!) dopo che a Zaia e a certi leghisti non andava giù la sua presenza - a Ilaria Salis, la militante antifascista in carcere e a processo in Ungheria, in corsa nell’Alleanza Verdi Sinistra. Innocente fino a prova contraria, siamo garantisti, come lo siamo con Vittorio Sgarbi, indagato e candidato (non a Nordest) stavolta con Fratelli d’Italia, dopo essere stato deputato di altri partiti in 5 legislature, in Europa per due anni prima di dimettersi per fare il sottosegretario, ma anche sindaco di 4 comuni e assessore in Sicilia. Che il motivo di bluffare sulle liste sia massimizzare l’identità di partito per poi spendere i risultati elettorali in politica interna è l’ovvia spiegazione di quella che rimane una deriva. Deriva perché sacrifica l’interesse del Paese a quello dei partiti e dei loro capi. Negli altri 26 Stati non passerebbe mai per la mente di rinunciare a mandare in Europa i migliori per l’Europa, visto che là si decide l’80% delle nostre leggi. Motivo per cui, da decenni, all’Eurocamera le migliori competenze non sono italiane, salvo poi essere i primi, noi, a lamentarci se altri portano a casa norme più favorevoli ai loro interessi nazionali. Bisogna spegnere i microfoni per sentire dai partiti italiani la verità. Una voce della politica vicentina l’ha detta a chi scrive, non molto tempo fa: «Alle politiche in Italia si vota il listino bloccato, e chi va a Roma lo decidono i partiti, mica gli elettori: ma quello sarebbe il sistema elettorale ideale per le Europee, per mandarci i migliori profili, anche tecnici». Auspicio più che affossato da questa tornata elettorale, dove c’è anche la lista che nel simbolo ha il nome (e nei manifesti la foto) di un leader defunto: Silvio Berlusconi. Nella politica italiana conta il “logo”, non il contenuto. I partiti se la giocano così. E l’assuefazione collettiva rende tutto stancamente “naturale”. Peccato che a perderci sia la forza del Paese in Europa.

 

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