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Castrazione chimica negli Stati europei: oltre le mezze "verità"

di Marco Scorzato
marco.scorzato@ilgiornaledivicenza.it
Il "blocco androgenico" può essere solo volontario e reversibile
Il "blocco androgenico" può essere solo volontario e reversibile
Il "blocco androgenico" può essere solo volontario e reversibile
Il "blocco androgenico" può essere solo volontario e reversibile

Blocco androgenico. Per la serie “a volte ritornano”, riappare nel dibattito la più comunemente nota "castrazione chimica”. Lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo nei giorni scorsi ha riportato in auge il confronto sulle pene per chi commette violenze sessuali: c’è chi sostiene che si debba agire a monte su formazione e cultura del ris petto e chi mette l’accento sulle sanzioni. A invocare la castrazione chimica è il vicepremier Matteo Salvini, come già aveva fatto quand’era il vice di Giuseppe Conte, salvo poi guidare la retromarcia della Lega nel momento di passare dalle parole alla legge. Quattro anni dopo, il ministro rilancia, evocando quanto «succede già in altri Paesi dell’Occidente». Vale a dire: lo fanno Stati democratici, mica i talebani, quindi si può fare anche qui senza far inorridire nessuno.

In Europa

Salvini dice la verità? Sì, dice la verità. La castrazione chimica è una pratica oggi prevista dall’ordinamento di 11 Paesi dell’Unione europea, tra cui quelli scandinavi ma anche Francia e Germania, oltre che del Regno Unito e di alcuni Stati degli Usa. Salvini però tende a non dire tutta la verità; eppure è in quel “tutta” che sta il nocciolo della questione. Nel mordi-e-fuggi dei social non si spiega bene come funziona la castrazione chimica negli ordinamenti in cui è prevista, quali sono le forme e i limiti, e quelle omissioni finiscono con lo storpiare la valutazione della proposta da parte dell’opinione pubblica. Del resto chi fa comunicazione politica queste cose le sa bene.

Solo volontaria e reversibile

Andrebbe subito chiarito, ad esempio, che si discute di un trattamento non obbligatorio bensì volontario: una sospensione condizionale della pena detentiva - o riduzione - a fronte della libera scelta del condannato di sottoporsi a trattamenti farmacologici che inibiscano la libido. Così avviene nei Paesi sopra citati - e spesso con ulteriori e diverse restrizioni - e solo così potrebbe avvenire in uno Stato come l’Italia che rispetta, per Costituzione e trattati internazionali, i diritti umani. L’obbligatorietà della castrazione chimica sarebbe incostituzionale: l’articolo 27 della Carta dice che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». L’adesione al “blocco androgenico” deve essere quindi volontaria e informata sui rischi per la salute. Non solo: è una terapia con effetto temporaneo e non definitivo, un trattamento reversibile il cui effetto termina con la sospensione dei farmaci.

Né vendetta né deterrenza

Non si tratta quindi di una “vendetta” - con buona pace sia di chi la evoca sia di chi inorridisce all’idea - né di una pena con effetto di «dissuasione» preventiva dallo stupro, come ha invece detto su TikTok il ministro Salvini, in quanto non può esserci deterrenza in una pena che sia scelta dal condannato al posto di un’altra: è un controsenso. Ma sugli equivoci balla il dibattito politico, che così però finisce col parlare del “nulla”, evocando (o bocciando) ciò che non può (giuridicamente) esistere.

Postilla

C’è un solo Paese dell’Ue dove la castrazione chimica si può comminare in modo coercitivo, e solo ai condannati per pedofilia: la Polonia. Ma è l’eccezione, che viaggia sulla lunghezza d’onda di Paesi che dell’Ue non fan parte, come la Russia.

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