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Shuttle Columbia, 20 anni da disastro che segnò spazio

Dal secondo incidente della navetta Usa all’era dei privati
Un atterraggio dello shuttle Columbia
Un atterraggio dello shuttle Columbia
A 20 anni dalla tragedia del Columbia, come e' cambiato lo spazio

 A pochi minuti all’atterraggio, il primo febbraio 2003 lo shuttle Columbia andava in pezzi, lasciando nel cielo del Texas lunghe scie che annunciavano la seconda tragedia nella storia dello Space Shuttle. Tutti e sette gli astronauti a bordo morirono, in una tragedia che ha lasciato il segno nell’era spaziale.

Da allora ci sono voluti due anni prima che un altro shuttle potesse tornare a volare, ma era ormai un veicolo vecchio, che tanti consideravano molto complesso e sempre più difficile da gestire. La sua uscita di scena, nel 2011 ha segnato l’inizio di una lunga fase di transizione che ha portato a navette più semplici, che adesso aziende private gestiscono per conto della Nasa.

Nel 1981 il Columbia era stato il primo della nuova generazione dei veicoli spaziali americani: gli Space Shuttle progettati per affermare il primato nello spazio degli Stati Uniti, con un servizio di navette riutilizzabili, che partivano grazie ai razzi ausiliari e rientravano atterrando come alianti.

Nel 2003 il capostipite degli shuttle era ancora in piena attività, nonostante per molti fosse ormai una "vecchia signora". Quella sua ultima missione, chiamata Sts 107, aveva uno scopo essenzialmente scientifico, con circa 80 esperimenti da condurre in condizioni di microgravità. Al comando del veterano Rick Husband c’erano il pilota Willie McCool, e quattro specialisti di missione: l’indiana Kalpana Chawla, anche lei una veterana, e poi Michael Anderson, Laurel Clark, David Brown e Ilan Ramon, il primo astronauta israeliano.

Soltanto pochi giorni prima di rientrare a Terra, il 31 gennaio, gli astronauti del Columbia avevano inviato un Sos per il clima, con i primi dati che indicavano come gli incendi nelle foreste tropicali stessero gradualmente influenzando il clima.
Tre giorni prima avevano ricordato i colleghi del Challenger, lo shuttle che 17 anni prima, il 28 gennaio 1986, si era disintegrato dopo appena 73 secondi di volo.

Due tragedie che pesano sulla storia dell’esplorazione spaziale e che hanno avuto l’effetto di una doccia fredda che ha contribuito non poco a ridimensionare l’intenso programma di voli pensato inizialmente. Nelle intenzioni, infatti, lo Space Shuttle avrebbe dovuto funzionare a ritmo serrato, ma poi i costi e i due drammatici incidenti hanno rallentato notevolmente la tabella di marcia prevista inizialmente.

Quando l’ultimo Space Shuttle, l’Atlantis, partiva da Cape Canaveral l’8 luglio 2011 finiva un’era e già si preparava un
futuro, con l’arrivo di navette e lanciatori di aziende private che si facevano avanti dopo che l’amministrazione Obama aveva
chiuso per motivi di budget il programma Constellation della Nasa, che puntava a missioni per completare la Stazione Spaziale
Internazionale, al ritorno alla Luna e a portare astronauti su Marte.

Dopo l’uscita di scena dello Space Shuttle, per nove anni gli astronauti americani hanno volato sulle navette russe Soyuz, unico mezzo possibile per raggiungere l’orbita, e solo nel novembre 2020 la navetta Crew Dragon della SpaceX ha restituito
agli Stati Uniti la capacità di portare astronauti nello spazio
.
 

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