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L'intervista al fisico

Il prof. Tonelli: «La "particella di Dio" ha cambiato la storia. E ci sono ancora tante domande senza risposta»

Lo scienziato del Cern di Ginevra e professore all’Università di Pisa, tra i protagonisti della scoperta del Bosone di Higgs
A sinistra, Guido Tonelli
A sinistra, Guido Tonelli
A sinistra, Guido Tonelli
A sinistra, Guido Tonelli

Com’è nato l’universo? È questa la domanda che, forse più di ogni altra, si sono posti gli uomini dall’origine della storia, dai tempi delle caverne ai giorni nostri. Oggi la scienza è in grado di rispondere a questo quesito e ciò è possibile grazie a una serie di scoperte che sono state fatte negli ultimi cinquant’anni, a cominciare dal cosiddetto Bosone di Higgs. A raccontare tutto questo agli studenti dell’istituto Campostrini è stato Guido Tonelli, scienziato del Cern di Ginevra e professore all’Università di Pisa, tra i protagonisti della scoperta del Bosone di Higgs. 

Professor Tonelli, cos’è la Particella di Dio?

Innanzitutto, va precisato che questo nome nasce da un equivoco. Nel 1993 il fisico Leon Lederman voleva pubblicare un libro sulla caccia al bosone di Higgs. L’appellativo iniziale era «particella maledetta», perché nessuno riusciva a trovarla, ma l’editore ha preferito chiamarla «the God particle», la «particella di Dio», e da allora viene chiamato così. 

E di cosa si tratta? 
È una particella speciale, che gioca un ruolo fondamentale nella costituzione del nostro universo. Gli oggetti che conosciamo, i tavoli, il pianeta, il sole, sono corpi materiali, che ci sembrano eterni. Abbiamo la sensazione che la materia sia organizzata così da sempre e sempre sarà così. Fino a qualche decina di anni fa si è sempre pensato che la massa fosse una proprietà naturale della materia. 
 

E poi cos’è successo? 
Nel 1964 tre giovani scienziati, Peter Higgs, Francois Englert e Robert Brout, hanno iniziato a ipotizzare che la massa fosse una proprietà derivata, che nasce da un’interazione. Le particelle elementari, sostenevano, nascono tutte prive di massa e poi diventano massicce interagendo con un campo, che è l’universo intero. Se non avessero massa, le particelle non si potrebbero aggregare e tutta la materia si disgregherebbe. 
 

Quando è stata confermata questa teoria? 
Nel 2012, con la scoperta del Bosone di Higgs. Oggi noi abbiamo una visione della materia che è diversa da quella che avevamo fino a cinquant’anni fa. Per questo pensiamo che questa scoperta rimarrà nei secoli, nei libri di storia, della fisica. 
 

E come ci si è arrivati? 
C’è voluto del tempo, e della dannata fatica. La teoria del Bosone di Higgs era stata ritenuta interessante, così i fisici sperimentali si erano messi alla ricerca di questa particella, ma per decenni nessuno è riuscito a trovarla. Poi è arrivato il nostro turno. Quando una generazione non riesce a ottenere un risultato, quella successiva fa tesoro delle informazioni, degli sbagli, dei limiti incontrati e cerca di esplorare in un’altra direzione. 
 

Come vi siete mossi? 
Abbiamo costruito il Large Hadron Collider (Lhc), un acceleratore di particelle gigantesco, con apparati sperimentali mai visti prima, grandi come un palazzo di cinque piani, pieno di milioni di sensori. Era un progetto folle, al limite dell’umana fattibilità. Abbiamo rischiato il fallimento più volte. C’è voluto coraggio… Oggi siamo in paradiso, ma abbiamo attraversato l’inferno di 25 anni di sforzi e di crisi, perché la tecnologia non funzionava, andava cambiata, i soldi non bastavano mai, il tempo correva e i progressi erano limitati. C’era sempre il terrore di un errore che facesse crollare tutta l’impresa. Basta trascurare un minimo dettaglio per buttare via anni di lavoro e mezzo miliardo di euro. Questa paura ci ha accompagnato fino alla scoperta. 
 

E come vi siete sentiti ai primi risultati? 
Nel luglio 2012, quando c’è stato l’annuncio ufficiale della scoperta del Bosone di Higgs, noi che eravamo dietro le quinte avevamo già digerito tutto l’entusiasmo e l’eccitazione. L’emozione è stata ai primi segnali. Quando compare qualcosa e nessuno al mondo lo sa e tu sei lì e inizi a vedere una particella mai vista prima. Quelli sono i momenti che restano nel cuore ed è un’emozione difficile da descrivere. Viene la pelle d’oca. Noi facciamo ricerca per quei momenti lì: istanti magici dove, dopo trent’anni di lavoro, scopri che ne valeva la pena. 
 

La ricerca scientifica però richiede anche resilienza, capacità di resistere alle difficoltà… 
Nel nostro ambiente viene apprezzato chi non si tira indietro davanti alle rogne, chi si prende le responsabilità, chi ci vuole provare. I fisici, gli scienziati, sono abituati a cadere, a prendere colpi in faccia, e poi rialzarsi e trovare un’altra soluzione, perché si lavora in un ambiente estremamente difficile ed è facile sbagliare o imboccare una strada che non porta da nessuna parte. È il bello del nostro mestiere: non sai mai se una ricerca porterà risultati o verso un vicolo chiuso.

E la prossima sfida quale sarà? 
Ci sono ancora molte domande senza risposta. Ad esempio, la materia oscura è una forma di materia che non fa luce ma che tiene insieme le galassie, che trattiene le stelle dal disgregarsi. È quasi un quarto dell’universo intero, ma non sappiamo di cos’è composta. 
 

In Italia com’è la situazione per il mondo della fisica? 
I fondi che il governo, gli enti di ricerca, l’Università mettono a disposizione sono adeguati. In effetti, la fisica italiana fa un ottimo lavoro: siamo stimati in tutto il mondo nel nostro campo per essere tra i Paesi più avanzati. Nelle nostre università ci sono laboratori e centri di ricerca eccezionali, con studenti e ricercatori bravissimi, perché le nostre scuole in questo campo sono tra le migliori al mondo. Sarei felice se lo stesso livello raggiunto nella fisica si avesse in Italia nella biologia o nella medicina. 
 

C’è qualcosa da migliorare? 
Serve un cambiamento di mentalità per trasformare le università e gli enti di ricerca in posti che accolgono i giovani e ne favoriscono la carriera con velocità e agilità. Sarebbe la chiave per rendere l’Italia un paese meno rigido, vecchio, bloccato. Invece di investire risorse a pioggia, bisogna trattenere qui i ragazzi più talentuosi, garantendo loro carriere accelerate, con stipendi più alti, per evitare che vadano all’estero. Bisogna metterli subito alla prova, invece di tenerli in frigorifero per vent’anni e poi dare loro una promozione quando ormai non hanno più nulla da dire. 

Manuela Trevisani

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