CASSOLA Addentrarsi nella quantomai fitta foresta della letteratura odierna può rappresentare una perigliosa, e talora insoddisfacente, avventura. Se vi avverrà di avere tra le mani l'opera di David Szalay, tuttavia, il vostro errare non sarà stato vano. Tutto quello che è un uomo. Già dal titolo si evince che il filo rosso della narrazione è come l'uomo, maschio, di oggi, si muove nel mondo e nella vita. Che cosa vuol dire essere uomini in Europa nel Terzo Millennio? Innanzitutto, vuol dire viaggiare. Questo romanzo mascherato da collezione di racconti, dal sapore vagamente "joyciano", è infatti una caleidoscopica prosa poetica che narra di persone e di luoghi dell'Europa di oggi. Il viaggio è ricerca, talvolta anche infruttuosa - una metafora neanche troppo estranea della vita, e specie della nostra vita attuale. Un'esistenza, la nostra, di cui siamo chiamati a dar forma, di giorno in giorno, di anno in anno, senza poter contare su una ricetta preconfezionata: per dirla con Sartre, l'uomo è ciò che si fa, è ciò che sceglie di diventare. È questo che trasuda dai varchi aperti sulle vicende dei personaggi: in ogni racconto, il lettore si trova a scrutare uno sprazzo nella vita di ciascuno di questi, mentre sono intenti a crearsi una via nei meandri dell'esistenza. Esattamente come noi, essi non conoscono la meta né il senso del proprio essere gettati qui e ora. Di capitolo in capitolo, di stagione in stagione, il tempo scorre inesorabile, sia per i lettori che per i personaggi, senza che questi interrogativi siano chiariti. Aeterna amemus, non peritura, è il motto su cui si interroga il protagonista dell'ultimo capitolo. Come possiamo amare ciò che è eterno, quando tutto intorno a noi, compresi noi stessi, è destinato a perire? Quando il nostro stesso essere è tempo? Se non che, ci accorgiamo, è il divenire stesso l'unica cosa che mai diviene, che mai si dissolve, l'irrequietezza immota: l'unica dimensione esperibile dell'eternità.Testo inviato dalla biblioteca di Cassola