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La speranza di Hikmet
L’amore ci può salvare

La copertina del libro
La copertina del libro
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La copertina del libro

ZANÈ

Abbiamo “fame” di speranze. Ce lo ricorda Nazim Hikmet, poeta Turco tra i più amati del novecento. In “Poesie d'Amore” ci regala parole che “gridano” il suo impegno sociale, la lotta contro il regime turco, l'esilio, gli anni di prigionia, le torture subite. Ma con esse esprime anche la duplicità dell’essere umano, ricordando la forza salvifica degli affetti, nello sguardo della donna amata, la potenza delle parole come medicina per se stesso (e per noi).È questo “il libro della mia vita”, l'opera che più di ogni altra conservo nel cuore e nel ripiano migliore della libreria. Acquistato 12 anni fa; oggi le sue pagine sono costellate da linguette e post-it che mi ricordano dove trovare le poesie più significative, quelle in cui l'identità del poeta mi raggiunge più nitidamente. Sono componimenti intensi, asciutti, senza fronzoli superflui, addolciti solo dagli scatti in bianco e nero di Robert Doisneau fotografo Francese che tra le tante istantanee catturò il famoso “bacio dell’Hotel de Ville”. Ne esce un capolavoro dove le immagini rincorrono le parole come in una danza di bellezza che ispira i nostri animi spesso cinici e disillusi. Mentre leggiamo, i versi ci investono con forza: “Amo in te l’avventura della nave che va verso il polo”; un invito a non arenare le nostre vite tra gli scogli dell’immobilismo, ricordandoci il coraggio di osare, di superare quei confini che noi stessi eleviamo. Hikmet non nasconde la crudezza del quotidiano ma nonostante le ingiustizie e le umiliazioni subite, e anche grazie al loro superamento, consegna un messaggio di speranza che ai giorni nostri sembra acquisire particolare valore: non lasciarsi imbruttire dalle difficoltà della vita, credere che l'Amore, nel suo senso più ampio, possa salvarci e ispirare i nostri passi. Le sue liriche scuotono, commuovono e al tempo stesso accarezzano il lettore; regalano uno spiraglio di luce che sembra indicare la rotta ricordandoci che “I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti”.

Testo inviato dalla biblioteca di Zanè

Michela Peripolli

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