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Il deserto dei Tartari
L’età degli ideali
e dello scetticismo

Il libro della mia vita
Il libro della mia vita
Il libro della mia vita
Il libro della mia vita

Ho letto “Il deserto dei Tartari” in quinta elementare. All’epoca (1979) la propaganda del romanzo di Dino Buzzati era accerchiante. Le maestre lo raccomandavano con enfasi. Non che leggerlo costasse chissà quale sacrificio. Era una favola al rallentatore piena di situazioni suggestive. Il suo eroe, Giovanni Drogo, è sicuro che da qualche parte nel tempo sia in arrivo per lui l’occasione di mettersi alla prova e di far risaltare le proprie doti ricacciando indietro la paura di essere impari a se stesso. Da giovani ci si gingilla spesso con idee simili, e anche col pensiero che aspettare l’occasione giusta serva a propiziarsela. Pregiudizi da pivello, certo. Ma è un pregiudizio anche considerare inutile e mendace qualunque aspettativa, come fa Drogo quando è ormai in là con gli anni.Le stagioni del libro sono la giovinezza e la vecchiaia. Conosciamo Drogo tenente di fresca nomina e ci congediamo da lui che ha sulle spalline il grado di maggiore. Tra la prima e la terza età, il vuoto. Drogo passa dal desiderio di vivere al rimpianto di non aver vissuto, senza transizione in stati d’animo intermedi. Manca la stagione in cui il cambiamento non è più soltanto atteso, sofferto, ma ricercato attivamente, prodotto. Il deserto dei Tartari è il romanzo dell’infanzia che, per aver eluso il confronto con il periodo della maturità, ritrova nella vecchiaia tutti i suoi assilli intatti e mutati di segno. Riletto oggi, il bestseller di Buzzati fa scoprire altre cose. Una di queste è che il disinganno non risponde alle attese con maggiore efficacia della speranza. L’età degli ideali e quella dello scetticismo spremono la stessa accidia. Ecco confermato un sospetto che avevamo fin da bambini: è annoiarsi il vero privilegio che si vuole strappare alla vita. Piacere di non gioire, non patire, non aprire partite affettive, non avere pendenze di alcun tipo. Niente di cui scusarsi, niente da confessare, niente da spiegare. Lasciarci erodere dall’esistenza che sgocciola via imparando gradualmente che non siamo né migliori né diversi dal resto degli uomini. Una lezione che fa sudare dispetto, dolore, perfino rabbia, ma che all’improvviso asciuga in un sollievo insperato, tremendo.

Marco Cavalli

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