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festival del futuro

Verso una frammentazione dell'economia mondiale

Analisi e nuovi equilibri, la grande ondata di globalizzazione che ha avvicinato e omologato il mondo è iniziata nel Dopoguerra. Ma questo trend sta lasciando il campo a una fase di «deglobalizzazione»
Biden e Xi Jiping L'egemonia Usa è sempre più posta in discussione dalla impressionante crescita economica della Cina
Biden e Xi Jiping L'egemonia Usa è sempre più posta in discussione dalla impressionante crescita economica della Cina
Biden e Xi Jiping L'egemonia Usa è sempre più posta in discussione dalla impressionante crescita economica della Cina
Biden e Xi Jiping L'egemonia Usa è sempre più posta in discussione dalla impressionante crescita economica della Cina

La globalizzazione versa in una crisi sempre più evidente. Osteggiata da molti non certo per aver generato una potente onda di innovazione e sviluppo, ma per non essere riuscita a farlo senza provocare squilibri e diseguaglianze che sono oggi il parametro prevalente nella valutazione degli effetti e nella definizione di nuovi approcci. «Uno dei principali effetti della globalizzazione, per certi versi paradossale», afferma Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia e presidente degli Osservatori Digital Innovation al Politecnico di Milano, «è stato quello di creare le condizioni perché l'egemonia economica degli Stati Uniti, del Paese cioè che ne era stato il principale promotore, sia sempre più posta in discussione dalla impressionante crescita economica della Cina, che - dopo essere diventata la fabbrica del mondo - ha saputo sfruttare il gigantesco trasferimento di competenze connesso con le delocalizzazioni o con l'apertura di nuove attività sul suo territorio, per far crescere anche qualitativamente la propria economia, sino a quasi agganciare il Pil statunitense: ovviamente in termini complessivi e non pro-capite, dato che la sua popolazione è di 4,3 volte superiore. E con la crescita dell'economia è salita anche la sua voglia di diventare una superpotenza globale, con le conseguenze viste anche recentemente». Stati Uniti sempre più deboliSul piano politico-militare, l'egemonia degli Stati Uniti e soprattutto la capacità di esercitare il ruolo di poliziotto del mondo è stata offuscata dai limiti sono emersi, soprattutto nel faticoso mantenimento del controllo del territorio nelle fasi post-belliche, con le guerre in Afghanistan e in Iraq. E l'avversione crescente del popolo americano nei riguardi di nuove guerre ha portato alla riduzione in alcune aree calde del mondo della protezione prima assicurata ai Paesi amici, con la nascita di nuove alleanze politiche e di altrettanto nuovi legami economici. Per Bertelè, l'indebolimento dell'egemonia americana ha coinciso con il ritorno sempre più consistente dello Stato nell'economia all'interno dei molti Paesi. Una prima ragione è la progressiva riduzione del grado globale di democrazia che, di recente, evidenzia un aumento dei Paesi con regimi autoritari e un inasprimento dei controlli e delle modalità di esercizio del potere.Una seconda ragione è legata ai salvataggi indotti dalle crisi globali che si sono succedute negli anni, quali la crisi finanziaria originata dai prestiti subprime del 2008, la crisi provocata dai lockdown, dopo lo scoppio della pandemia e la crisi più recente dovuta alla riesplosione dell'inflazione. Una terza ragione è legata alla tensione internazionale, che induce spesso i Governi a politiche protezionistiche. «Sono sempre più stretti i margini perché l'economia mondiale possa continuare a configurarsi come una larghissima area di libero mercato». La frammentazioneVi sono fratture nei rapporti fra economie avanzate, Brexit in primo luogo ma anche insofferenza verso le big tech statunitensi e voglia di sovranità dell'Ue nell'ambito digitale. Vi è una crescita di potenze locali, quali l'Iran, l'Arabia Saudita e la Turchia, favorita dalla decrescente presenza militare degli Stati Uniti in diverse aree calde del mondo. Vi è una voglia crescente di fissare le regole, formalmente attraverso leggi o de facto attraverso le proprie authority, che rischia di creare una «Babele delle regole». «Sembra dunque piuttosto probabile che si vada verso una economia mondiale più frammentata e che il processo di riorganizzazione dell'economia mondiale stessa sia destinato a prolungarsi a lungo nel tempo, con le due superpotenze in gara fra loro per attirare nel proprio campo i diversi Paesi o almeno evitare che essi si aggreghino all'area avversa; e con un numero non piccolo di Paesi che probabilmente preferirà non allinearsi, come sta facendo ad esempio l'India, per cogliere di volta in volta le opportunità migliori», conclude Bertelè.*Sintesi dell'articolo «Verso una frammentazione dell'economia globale» di Umberto Bertelè pubblicato nell'inserto n. 1 del «Festival del Futuro»Focus «La globalizzazione frammentata» è il titolo del panel, organizzato in collaborazione con la Commissione Europea, in programma oggi, giovedì alle 10.15, al festival del Futuro. Interverranno, coordinati da Marta Ottaviani, giornalista di Avvenire, Marta Dassù, senior director Europe di Aspen Institute, Ferdinando Nelli Feroci, presidente di Iai, l'Istituto affari internazionali, Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica e Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza italiana alla Commissione Europea.