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Una nuova dinamica tra pubblico e privato

I nuovi scenari globali che abbiamo di fronte stanno rapidamente ridefinendo assetti ed equilibri in ogni campo, in modo da porre all’attenzione di tutti le crisi di diversa natura in fase di svolgimento e di convergenza, per individuare con urgenza le soluzioni possibili. Di recente, McKinsey ha pubblicato un interessante report dal titolo Geopolitical resilience: The new board imperative, in cui si tratteggiano una serie di soluzioni utili a fronteggiare i rischi geopolitici, saliti in cima alle priorità strategiche delle aziende e delle istituzioni pubbliche. Questi alcuni degli interrogativi: come affrontare una pianificazione degli investimenti pluridecennale in un contesto geopolitico in rapida evoluzione? Come possono aziende e istituzioni destreggiarsi nel crescente groviglio normativo dei controlli, delle sanzioni e dei requisiti di gestione dei dati, che spesso limitano le possibilità di agire su scala globale senza soluzione di continuità? È questo un filone di riflessione che segna un cambio di paradigma rispetto all’epoca della globalizzazione e del mercato libero e che mostra la crescente convergenza tra management privato e amministrazione pubblica dovuta ai cambiamenti politici ed economici di questi anni. Per capire come andare avanti è bene, però, fare un passo indietro. Negli ultimi 40 anni il rapporto tra Stato e mercato ha subito notevoli cambiamenti, ma essi sono rientrati nell’ambito di un preciso ciclo politico ed economico di tipo neo-liberale (o neo-liberista) nel quale le politiche di privatizzazione, liberalizzazione, esternalizzazione e consolidamento fiscale hanno dominato la politica economica in un quadro di globalizzazione. Ciò ha sortito effetti rilevanti sulle amministrazioni pubbliche con, da un lato, una riduzione del ruolo e del prestigio della funzione pubblica e, dall’altro, una ibridazione crescente tra pubblico e privato. Tra gli anni Ottanta e Duemila, si è diffusamente posto l’obiettivo di un Governo leggero e meno costoso, ma anche più snello ed efficace. Una sorta di fusione tra un maggiore “spirito imprenditoriale” nel settore pubblico e strumenti “manageriali” tipici del privato, con una spinta al policentrismo istituzionale. Sono trascorsi alcuni decenni in cui le idee del new public management e lo sviluppo della governance hanno prevalso su ogni altro aspetto dell’organizzazione e della funzione amministrativa. Si è trattato di un processo che ha senza dubbio rafforzato la flessibilità e la capacità del settore pubblico in molti Paesi, contribuito allo sviluppo economico e migliorato il funzionamento dei mercati. Ma, al tempo stesso, tale modello formativo centrato sulla specializzazione ha ridotto la capacità di pensare e agire in modo olistico e strategico da parte dei vertici amministrativi. Inoltre, l’esaltazione del mercato e del management ha spesso depresso la dirigenza pubblica, colpendone il prestigio e l’autonomia, relegandola in secondo piano rispetto al settore privato. Tuttavia, le crisi degli ultimi anni, come quella finanziaria del 2008, la pandemia e le tensioni geopolitiche, hanno mostrato come la tecnocrazia possa a sua volta andare in affanno di fronte a problemi complessi, interconnessi, che richiedono risposte coordinate, capacità di mediazione e adattamento rapido. Si è visto, inoltre, che la svalutazione del prestigio dello Stato e della sua nobiltà, i dirigenti e i funzionari, può spianare la strada a meccanismi di delegittimazione antipolitica e populista. Di fronte a questi cambiamenti è evidente che il “cervello” della pubblica amministrazione vada ripensato, superando l’approccio degli anni Ottanta e Novanta. Oggi, infatti, il rapporto tra pubblico e privato si sta rimodulando radicalmente. Fino a pochi anni fa il management delle aziende e i dirigenti della pubblica amministrazione dovevano preoccuparsi soltanto dell’efficienza dei processi e dell’efficacia dell’esecuzione. Nell’era della globalizzazione e del neo-liberismo essi potevano vivere in due mondi separati che di rado si intersecavano; e, quando accadeva, era più per sfruttare opportunità positive che per fronteggiare rischi ed emergenze. Le tensioni internazionali, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica, il protezionismo, le nuove domande politiche di sicurezza hanno in pochi anni cambiato radicalmente il paradigma politico ed economico con impatti rilevanti sulla relazione tra Stato e mercato. Di recente, infatti, l’interventismo pubblico è tornato sotto molteplici forme, le supply chain si sono ridefinite, le fonti energetiche diversificate, nuovi settori tecnologici sono diventati fondamentali per lo sviluppo economico e la difesa, l’ambiente è stato messo al centro delle politiche industriali. Il mondo di oggi si focalizza attorno a nuove domande di sicurezza e protezione, richiedendo alle organizzazioni, pubbliche e private di adeguarsi al cambiamento seguendo i nuovi indirizzi. Una nuova era nel rapporto tra Stato e mercato si sta, dunque, aprendo con nuovi rischi e opportunità e, di conseguenza, anche la cooperazione tra pubblico e privato dovrà cercare di coniugare i migliori valori di entrambi. Ciò significa che, oltre a preservare dinamismo e flessibilità del mercato per evitare di ingessare le dinamiche economiche, lo Stato dovrà tracciare nuove linee normative e istituzionali in materia di sicurezza nazionale, investimenti strategici e formazione del capitale umano. Le aziende e lo Stato non potranno più essere viste soltanto come un fascio di rapporti contrattuali, come è stato negli ultimi 40 anni, ma andranno pensati e governati come istituzioni, cioè come comunità durature capace di condividere obiettivi e interessi. I Governi dovranno prestare molta più attenzione di prima al mondo aziendale sia per quanto concerne la realizzazione di opere, infrastrutture e programmi pubblici sia per quanto riguarda la relazione tra aziende e politica estera, che sarà soggetta a un maggiore controllo della politica. Dovranno anche investire di più in certi settori produttivi e, al tempo stesso, controllare maggiormente e anticipare i nuovi trend. Per politici, dirigenti e manager pubblici si tratta di una grande sfida: scrivere regole per stimolare e disegnare nuove istituzioni, intervenire selettivamente nel mercato, guidare processi di ricerca e investimento in settori strategici, evitare che si inneschino pratiche clientelari e scongiurare eccessi dirigisti e centralisti. Cambiano, analogamente, le coordinate anche per il management delle aziende private, poiché oggi la sensibilità politica delle aziende è molto più rilevante. Incentivi green e digitali, sgravi fiscali settoriali, golden power, regole protezionistiche costringono i manager privati a prestare sempre più attenzione sia ai rischi politici internazionali sia alla regolazione economica dei Governi. Gli affari vanno avanti, ma con un occhio in più allo Stato sia come legislatore sia come protettore e investitore. L’ingresso nella “nuova era” della postglobalizzazione e della sicurezza nazionale richiede, in definitiva, una maggiore “osmosi” tra pubblico e privato: una novità che soltanto una classe dirigente capace di adeguarsi con consapevolezza e professionalità potrà gestire con successo nel quadro del nuovo ciclo economico e politico nel quale siamo entrati negli ultimi anni.