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«C’è una cosa che le macchine non sanno fare e noi sì: amare»

Marco Senaldi, filosofo e direttore artistico di Laba, trova la differenza che consente all'umanità di sopravvivere «Immaginare, desiderare: facoltà nostre. Pure nel 2123 saranno qualcosa che solo le persone potranno realizzare»
«Uomo e macchina: la perenne
ricerca del limite» è
il titolo del
segmento
che ha visto
dialogare
Gian Paolo Laffranchi
col direttore
artistico 
di Laba
Marco
Senaldi
«Uomo e macchina: la perenne ricerca del limite» è il titolo del segmento che ha visto dialogare Gian Paolo Laffranchi col direttore artistico di Laba Marco Senaldi
«Uomo e macchina: la perenne
ricerca del limite» è
il titolo del
segmento
che ha visto
dialogare
Gian Paolo Laffranchi
col direttore
artistico 
di Laba
Marco
Senaldi
«Uomo e macchina: la perenne ricerca del limite» è il titolo del segmento che ha visto dialogare Gian Paolo Laffranchi col direttore artistico di Laba Marco Senaldi

Tante domande e ancora poche risposte, ma fino a quando sarà l’uomo a «premere il pulsante» e quando la macchina prenderà il sopravvento diventando autonoma? In altre parole, dove stiamo andando? Qual è il limite tra uomo e macchina? «È chiaro che per i ragazzi giovani è molto più semplice applicare e utilizzare le nuove tecnologie, lo vedo già nella nostra accademia - afferma Marco Senaldi, direttore artistico di Laba e filosofo -. Molti colleghi, invece, sono scettici o temono molto l’intelligenza artificiale. In particolare, passa il messaggio che l’intelligenza artificiale tolga creatività all’essere umano oppure ancora i dubbi arrivano dal campo scientifico: dove andremo a finire?». Per comprendere al meglio la situazione il professor Senaldi ha proposto un gioco, immedesimandosi in una macchina in un futuro lontano insieme a Gian Paolo Laffranchi, caposervizio di Cultura e Spettacoli di Bresciaoggi. «Immaginiamo di essere nel 2123 e siamo due macchine, M60 e GP74. Io sono la macchina filosofo; proviamo a vedere com’era il periodo dell’intelligenza naturale - dice Senaldi -. Beh, ci rendiamo subito conto che se pensiamo che il pericolo sia l’intelligenza artificiale direi che anche quella naturale, nel corso della storia dell’umanità, ha fatto i suoi danni». Un totale cambio di prospettiva per provare a comprendere le effettive differenze. È chiaro che di barbarie nel corso della storia ce ne sono state tante, eppure il cambiamento, nel mondo umano, avviene quando arriva la tecnologia e, in particolare, l’intelligenza artificiale. «Crociati, guerra dei trent’anni, bomba atomica: tutto ciò è scompare con l’avvento dell’intelligenza artificiale - prosegue Senaldi -. Non ci sono più le stupidaggini che faceva l’intelligenza naturale». Il gioco Continuando ad analizzare la linea a temporale a ritroso, nel mondo umano si affaccia l’idea di un futuro distopico dove le macchine prenderanno il sopravvento e la macchina, di fatto, schiavizzerà l’essere umano. «Quando noi pensiamo ai rischi è chiaro che la tecnologia è un rischio, ma noi siamo sul crinale - dice Senaldi -. Però se pensiamo che dall’altra parte ci sia la salvezza, certo che noi macchine siamo preoccupate, perché gli umani non li abbiamo estirpati completamente, anzi sono andati riproducendosi esponenzialmente». Insomma, pure gli umani aumentano a dismisura e alle macchine viene un po’ il sospetto che l’intelligenza naturale sia in qualche modo «stupida»: dopotutto cosa può fare di più dell’intelligenza artificiale che sa calcolare in pochissimi secondi tutto ciò che si desidera, immagazzinando anche un’incredibile quantità di dati? «Come macchine ce lo chiediamo: allora cos’è che gli umani sanno fare meglio di noi? - chiude Senaldi -. Sanno fare l’amore, ecco. Di più: sanno amare, ma ancor di più hanno la facoltà di immaginare, desiderare, una cosa che noi macchine nel 2123 non riusciamo ancora a fare». Il messaggio finale vuole infondere speranza, perché per quanto la tecnologia possa crescere a dismisura, possa cambiare il mondo e trasformare la società, imparando, copiando, elaborando gli input umani, non potrà mai sostituirli.

Giada Ferrari