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LA SOPRÈSSA

Tradizione e arte
nel salume vicentino
per eccellenza

Il taglio della soprèssa
Il taglio della soprèssa
Il taglio della soprèssa
Il taglio della soprèssa

Partiamo dal nome: soprèssa, spiega Francesco Soletti in “La Sopressa e i salumi vicentini” (Terra Ferma), può derivare dal latino supprimere, “inteso come l’atto di compattare della carne con un torchio dentro un budello”, o dallo spagnolo salpresar, “spargere di sale e comprimere”. C’è una parentela evidente con la soppressata tipica delle regioni del Sud Italia e con la soprassata toscana; ma la soprèssa vicentina, rigorosamente con una p, è unica e inconfondibile, tanto da ottenere la Denominazione di origine protetta, con tanto di disciplinare di produzione nel quale si specifica ogni aspetto, dagli alimenti ammessi per il maiale, agli ingredienti della ricetta, all’aspetto stesso dell’insaccato. Al taglio, si legge nel disciplinare, “la pasta appare compatta e allo stesso tempo tenera. La fetta presenta un impasto con particelle di grasso distribuite in modo da avvolgere le frazioni muscolari lasciando il prodotto morbido anche dopo lunghi tempi di stagionatura. La fetta appare con colori leggermente opachi, il grasso e il magro non presentano confini ben definiti, di grana medio grossa”. La morbidezza richiesta alla soprèssa impedisce che possa essere tagliata troppo finemente. Se una soprèssa è così compatta da poter essere affettata a mo’ di prosciutto, è difficile che possa essere definita “vicentina” secondo la tradizione. Sempre Soletti parla di “fette robuste” per poterla gustare “come spuntino o antipasto con pan biscotto o polenta abbrustolita e sottaceti. Scaldata in padella o sulla graticola di modo che il grasso disciolto diventi un delizioso fondo da raccogliere col pane”. L’occasione per assaggiarla è dietro l’angolo, il prossimo fine settimana comincia la sagra di Valli del Pasubio, la cui soprèssa, come quella di Costabissara, ha anche la Denominazione comunale. La visita alla sagra è anche un modo per rendere omaggio a una delle tradizioni vicentine più gloriose, la complessa operazione del far su el mas’cio, che el xe na botéga, a sottolinearne la generosità. Le attestazioni documentali della soprèssa vicentina rinviano, ad esempio, ai mercuriali (cioè i listini dei prezzi) della Camera di commercio di Vicenza, che dal 1862 includono la voce “Salame e sopressa”, mentre in altre province, nota Soletti, non si fa riferimento specifico alle soppresse. La prima Guida gastronomica del Touring Club, 1931, a proposito della produzione salumiera vicentina elenca “salsicce, cotechini, soppresse, bondiole, investite, ossocolli”. L’archivio comunale di San Vito di Leguzzano conserva una nota d’inventario del 1866, in cui compare un elenco che, tra luganeghe e musetti, include anche “sopresse 7”. Non mancano risvolti letterari, raccontati in “Ode alla Sopressa” di Gian Domenico Mazzocato, che cita Folengo, Testori, Soldati, Quarantotti Gambini. E poi la glorificazione pittorica, con il personaggio che affetta un insaccato in “Cristo in casa di Marta, Maria e Lazzaro” di Jacopo da Ponte, 1577: non c’è prova che sia soprèssa, ma nemmeno il contrario. • © RIPRODUZIONE RISERVATA