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LA CUCINA COME LABORATORIO

Spezzare spaghetti
vale il premio Nobel
ma tutto da ridere

Una forchettata di spaghetti
Una forchettata di spaghetti
Una forchettata di spaghetti
Una forchettata di spaghetti

Se piegate uno spaghetto - crudo, ovviamente - fino a romperlo, in quante parti si spezzerà? Due? Sbagliato: si romperà quasi sempre in più di due frammenti, e la maggior parte delle volte saranno tre. Capire perché ciò succeda è uno dei tipici quesiti su cui si arrovellano i fisici. E non fisici di primo pelo, vi si cimentò anche Richard Feynman, considerato una delle menti più geniali di tutti i tempi. Senza successo.

Finché non sono arrivati Basile Audoly e Sébastien Neukirch, ricercatori francesi che si sono messi di buzzo buono e, forti della loro preparazione in meccanica classica e matematica applicata, nel 2005 hanno proposto una teoria che, finora, ha retto a tutti gli esperimenti. Con buona pace di chi ha dovuto poi spazzare via tutti quei pezzetti di pasta cruda. Pubblicata in una rivista di prestigio, la teoria, che ha a che fare con la meccanica del continuo, è stata accettata dalla comunità scientifica. Ma ha anche vinto il premio Ig Nobel, parodia del “vero” Nobel che viene conferita agli autori di ricerche “strane, divertenti, e perfino assurde”. Bella forza, penserete, è quantomeno assurdo perdere tempo a capire perché uno spaghetto si spezzi in tre e non in due. Non per niente la storia degli spaghetti spezzati viene raccontata da Aleksandra Kroh e Madeleine Veyssié quale esempio nel loro libro “14 Scoperte scientifiche che non sono servite a niente” (Bompiani, 2017).

Ma è davvero così assurda, quella ricerca? Non proprio, se si pensa che i risultati di Audoly e Neukirch si possono applicare più generalmente a tutte le aste flessibili, come l’asta del saltatore in alto, ma anche le travi, i ponti, i viadotti, le ossa, con risvolti molto più seri di quanto si possa immaginare. Lo sanno bene anche Kroh e Veyssié, che infatti aggiungono il sottotitolo “Benché questo (l’inutilità delle scoperte da Ig Nobel, ndr) sia tutto da dimostrare”.

Finora però abbiamo eluso una domanda di fondo: perché mai si dovrebbe spezzare uno spaghetto crudo? Per metterlo in pentola a cuocere? “Non sia mai”, inorridiscono i sostenitori che gli spaghetti vadano cucinati integri (tra loro chef stellati), “ci pensa l’acqua calda, dopo poco, ad ammorbidirli il tanto che basta a farli scivolare docilmente nella pentola. E poi, se andassero spezzati, perché li venderebbero lunghi?”. Osservazioni a cui i cultori dello spaghetto spezzato (tra loro generazioni di casalinghe) rispondono facendo spallucce: “Più corti cuociono meglio e si mangiano più facilmente”. Non se ne esce, sui blog la polemica impazza. E in questo senso, sì, la scoperta di Audoly e Neukirch è inutile: non porterà la pax culinaria.