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Verona e il capitale umano

Zaia: «Riprendiamoci i giovani. Lavoriamo su nuove misure per farli rientrare dall'estero»

Continua la «fuga» di concittadini: gli iscritti nell'elenco Aire passati dai 45mila nel 2019 agli oltre 57mila nel 2023. E il governatore chiede un'analisi qualitativa del fenomeno
Zaia: servono misure per i giovani
Zaia: servono misure per i giovani
Zaia: servono misure per i giovani
Zaia: servono misure per i giovani

«Se porto un paziente in sala operatoria, lo opero con una radiografia in mano. Non posso farlo a caso», dice Luca Zaia, presidente della regione Veneto. Fuori di metafora: interventi, norme, provvedimenti in grado di far rientrare i talenti «fuggiti» all'estero vanno fatti con cognizione di causa, conoscendo il fenomeno sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Presidente, quindi cosa ha deciso di fare?

Il ragazzo che se ne va da Verona per fare il gelataio in Inghilterra e quello che emigra per fare il cardiochirurgo in Germania sono due casi tipici che, oggi, vengono valutati allo stesso modo. Abbiamo quindi deciso, con Confindustria Veneto e Fondazione Nord Est, di realizzare uno studio qualitativo per capire chi sono coloro che vanno all'estero, che titolo di studio hanno, se trovano un'occupazione compatibile con il loro percorso di studio, quanto guadagnano ma anche qual è il costo della vita e il welfare nel Paese in cui vanno. Perché soprattutto sotto quest'ultimo aspetto l'Italia è un luogo fortunato...

Lo dice anche nel suo libro, «I pessimisti non fanno fortuna». Cosa intende?

Che in alcuni Paesi invocati come modelli, penso agli Stati Uniti, ti lasciano a casa da un giorno all'altro e, per curarti, devi farti un'assicurazione molto costosa. Quello che voglio dire è che come istituzioni e comunità abbiamo la responsabilità di capire il fenomeno ed evitare che ci siano distorsioni, anche facendo una giusta comunicazione. Torno all'esempio degli Stati Uniti: un giovane medico che lavora negli Usa e guadagna 300mila dollari all'anno dice che non verrebbe in Italia perché qui dovrebbe fare ancora le notti in ospedale guadagnando molto meno. Ma andrebbe aggiunto che laurearsi in Medicina qui a Padova costa poche migliaia di euro, in America serve un milione di dollari. Questo per dire che il fenomeno non deve essere incentivato né stoppato, ma comunicato nel modo corretto.

Resta il fatto che il Veneto è tra le regioni d'Italia che registra più laureati emigrati all'estero...

Ma l'80 per cento va all'estero perché vuole cambiare aria, anche adattandosi ad occupazioni che non sono il massimo. È vero tuttavia che alcune categorie, penso ai ricercatori universitari, scelgono di emigrare perché hanno migliori opportunità di carriera.

Allora proviamo a fare un'analisi e capire le ragioni di questo fenomeno sul nostro territorio.

Credo che ci sia prima di tutto un tema culturale, che nel tempo si sta risolvendo: il nostro Paese è quello con la più alta età media di uscita di casa. Questo perché abbiamo, a differenza di altre nazioni, un modello basato sulla centralità della famiglia: significa che l'esperienza di vita di un trentenne di Stoccolma è maggiore rispetto a quella di un coetaneo di Verona. Non è un gap irrilevante.

Quindi, da dove partire?

Intanto non va negata la formazione all'estero, anzi va incentivata, soprattutto nel mondo globale in cui viviamo oggi. Non vanno demonizzati anni di studio né esperienze professionali internazionali.

Il problema è che l'elastico spesso, qui in Italia, non fa ritorno: i giovani partono per una esperienza all'estero e poi si fermano lì.

Va sostenuto questo tipo di esperienza garantendo, al ritorno, una giusta remunerazione della formazione acquista. Guardi, tutto il mondo è Paese, il fenomeno della fuga di talenti si registra anche nel resto dell'Europa: ma altrove hanno sistemi migliori dei nostri, in grado di attrarre e remunerare le esperienze che giovani hanno acquisito.

L'Emilia Romagna sta approvando una legge per incentivare il rientro di talenti emigrati all'estero. E il Veneto?

Tutti parlano senza aver visto il dato qualitativo, ma è difficile programmare e intervenire se non hai questo tipo di informazioni. È il motivo per cui abbiamo avviato questo progetto di ricerca.

Lei cosa farebbe per rendere il nostro territorio più attrattivo per questi giovani?

Se il Portogallo attrae pensionati grazie a misure di defiscalizzazioni, noi possiamo candidarci per essere il Paese migliore per i giovani grazie, ad esempio, a provvedimenti legislativi «young friendly». Lo Stato, ad esempio, potrebbe diventare garante per trasformare i canoni di affitto delle case in cui vivono i ragazzi in rate del mutuo, così da permettere di investire in un progetto di vita.

E per quanto riguarda il percorso professionale?

Servirebbero norme molto più flessibili, ad esempio nella contrattazione per determinati profili professionali, incentivando nuovi modelli di valorizzazione.

Lei è ottimista, vero?

Abbiamo tutti i presupposti per fare un buon lavoro. 

Francesca Lorandi

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