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Venezia, il livello del mare sale a ritmi record

Il livello del mare Adriatico a Venezia è cresciuto in modo «significativamente più elevato rispetto a quello medio globale» e addirittura «quasi doppio rispetto a Trieste». Lo rivela il capitolo dedicato al clima del voluminoso “Rapporto statistico 2018” diffuso dalla Regione, curato dalla responsabile della statistica Maria Teresa Coronella, con introduzioni del governatore Luca Zaia e del segretario generale Ilaria Bramezza. Nel 2017, segnala il rapporto, il Veneto ha avuto una temperatura media più calda rispetto a quella degli ultimi 25 anni. E tra gli effetti più evidenti del clima mutato ci sono «l’innalzamento del livello medio del mare da un lato e la riduzione dei ghiacciai dall’altro: rappresentano alcuni importanti segnali strettamente legati alle variazioni che interessano direttamente il territorio veneto». IL MARE SI SCALDA E SI ALZA. È il riscaldamento dell’aria a e dei mari dovuto anche ad attività umane, spiega il report, a generare da 150 anni a questa parte l’innalzamento di mari e oceani. Per due fenomeni: «Da una parte la dilatazione termica degli oceani: per l’aumento della loro temperatura aumentano di volume. Dall’altra parte l’apporto di nuova massa liquida derivante dalla fusione delle calotte glaciali continentali (Groenlandia e Antartide su tutte)». Morale: rilevazioni internazionali diffuse dall’Ipcc (il gruppo intergovernativo che studia i cambiamenti del clima) parlano di un livello che è cresciuto di 19 centimetri in poco più di un secolo, alla media di circa 1,7 millimetri l’anno. Peraltro recenti studi parlano di un’accelerata in corso, fino a 3 millimetri l’anno, a causa soprattutto del discioglimento dei ghiacci della Groenlandia (che secondo l’agenzia europea Eea è passato da 34 a 215 miliardi di tonnellate l’anno). Per il Mediterraneo l’istituto ricerche marine del Cnr (Ismar) ha calcolato sia a Genova che a Trieste una crescita di livello di 1,4 millimetri l’anno, che però va in forte aumento fino a 3 millimetri. IL RECORD DI VENEZIA. Ma come detto è Venezia a spiccare: a Punta della Salute, dove è fissato lo zero mareografico, dalla seconda metà dell’800 si evidenzia «una crescita non sempre omogenea nel tempo», con qualche forte balzo e addirittura qualche calo temporaneo. Ma «il tasso di crescita medio, valido per l’intero periodo 1872-2016, è pari a 2,5 millimetri l’anno», vale a dire «oltre 25 centimetri in 100 anni. Tale tasso di crescita risulta quindi significativamente più elevato rispetto a quello medio globale e quasi doppio rispetto a quello di Trieste». Perché? C’è un secondo fenomeno che caratterizza e pesa sulla costa veneziana: la subsidenza, cioè un «progressivo abbassamento del piano di campagna, ossia di cedimenti di quota del terreno dovuti alla compattazione degli strati di suolo sottostanti, sia per cause naturali che antropiche (per estrazioni ad esempio di gas, acqua)». La stazione di Venezia quindi ha registrato «un tendenziale e significativo incremento del tasso di crescita stimabile in circa 5,6 millimetri l’anno nel periodo 1994-2016, valore che, specie per la realtà veneziana, assume un significato particolarmente importante e preoccupante». Ovvio che tutto questo si intreccia con le tribolate vicende del sistema Mose, chiamato (ora pare sarà dal 2022) a proteggere almeno la città di Venezia e la laguna dai picchi di acqua alta che la colpiscono. LA BATOSTA DEI GHIACCIAI. Per chi va in montagna d’estate e ha un po’ di memoria basta lo sguardo, ma comunque sono anche i dati a confermare per il Veneto anche il secondo grande fenomeno portato dal clima che cambia: la riduzione dei ghiacciai. Come ha calcolato l’Arpav già da tempo, risulta che «la superficie glacializzata delle Dolomiti nei cento anni dal 1910 al 2009 si è ridotta del 49%. Appare tuttavia evidente anche la fase di accelerazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni: infatti, mentre la riduzione nei 70 anni dal 1910 al 1980 è stata del 27%, nei soli 30 anni dal 1980 al 2009 è stata di un ulteriore 30%». Il report della Regione sottolinea anche «il processo di degradazione del permafrost (il suolo sotto la superficie sempre ghiacciato)»: nel Bellunese si trova a tratti sopra i 2500 metri di altezza e che ha causato «un aumento della suscettibilità dei territori di alta quota ai dissesti» e quindi alle frane. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Erle

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